A portare le proprie analisi e prospettive sono stati Agnese Vitali (Università di Trento), Alessandro Rosina (Università Cattolica di Milano), Francesca Fiori (Università di Strathclyde, Glasgow) e Giulia Ferrari (INED, Parigi), che hanno evidenziato dati, tendenze e possibili leve di intervento per riportare la scelta di avere figli al centro dei percorsi di vita senza che essa diventi motivo di rinuncia o penalizzazione.
Rosina ha sottolineato come l’Italia registri un livello di natalità molto basso da oltre quarant’anni, con un progressivo ridimensionamento della popolazione potenzialmente genitoriale. Una tendenza che, se non invertita, avrà conseguenze significative sul sistema sociale, economico e previdenziale del Paese. Sottolineando la grave incapacità della politica di capire le scelte da fare, Rosina ha richiamato la necessità di “ripensare il modello di sviluppo”, superando un approccio solo quantitativo ed investendo in capitale umano e ed in politiche che permettano ai giovani di progettare il proprio futuro, mettendo al centro i progetti di vita ed il benessere delle nuove generazioni. Senza questo cambio di passo – ha ricordato – l’Italia rischia di non riuscire a cogliere le sfide socio-economiche del prossimo futuro.
La professoressa Vitali, ha evidenziato come il calo della natalità sia un processo di lungo periodo, i cui effetti si avvertono con anni di distanza (meno studenti, chiusura di scuole, riduzione della popolazione attiva e squilibrio generazionale). Vitali ha individuato nella difficoltà dei giovani a raggiungere autonomia economica e abitativa una delle criticità principali del nostro Paese, dove un giovane di età tra i 25 ed i 35 anni vive ancora con i genitori. Un quadro che rende più difficile compiere scelte familiari in modo libero e consapevole, rispetto a contesti europei dove l’ingresso nella vita adulta avviene più precocemente. È qui che si inserisce la questione del divario crescente tra desideri di genitorialità e possibilità concrete di realizzarli.
Uno sguardo al modello francese è stato proposto da Giulia Ferrari. Oltralpe si investe il 2% del PIL , il doppio rispetto all’Italia, in misure a sostegno della famiglia e della conciliazione vita-lavoro (l’Italia l‘1%), con strumenti universali e strutturali nel tempo. Questo approccio ha consentito per anni di mantenere tassi di fecondità più elevati rispetto alla media europea e di ridurre le differenze tra famiglie con e senza figli. Al centro delle politiche – ha spiegato Ferrari – non solo trasferimenti economici, ma servizi diffusi e universali: sostegno all’accesso alla casa, congedi regolati, copertura dei servizi educativi e misure per favorire un ingresso più stabile dei giovani nel mondo del lavoro. Elementi, ha contribuiscono ad abbattere l’incertezza e ridurre la precarietà percepita e lo scarto di opportunità tra chi ha figli e chi non ne ha.
Francesca Fiori ha raccontato il caso scozzese, che a partire dal 2019 ha costituto una task force governativa sul tema della denatalità, avviando un percorso strategico e trasversale alle politiche sociali, volto a garantire pari condizioni di partenza a tutti i bambini, contrastare le disuguaglianze economiche e sostenere le famiglie nel lungo periodo. Pur con tassi di fecondità in calo – 1,25 figli per donna, con punte ancora più basse nelle grandi aree urbane – la Scozia ha introdotto misure mirate nel welfare, nella prima infanzia e nel sostegno ai nuclei a basso reddito, con un approccio che guarda non solo alla natalità ma alla qualità della crescita sociale e demografica. Tra gli esempi citati: strumenti di supporto universale alle famiglie, 1500 ore di scuola dell’infanzia gratuita a partire dal terzo anno d’eta dei figli, misure economiche aggiuntive rispetto al Regno Unito per sostenere le fasce a basso reddito.




