Venerdì, 10 Ottobre 2025 - 12:19 Comunicato 2882

Tanti sorrisi con la staffetta olimpica delle meraviglie

Il «cagnaccio», il «tenace», il «sarto», l’«istrionico», come li ha definiti il loro direttore tecnico Marco Albarello hanno fatto rivivere al pubblico de Il Festival dello Sport di Trento, presso la Sala Filarmonica, una delle giornate iconiche della storia d’Italia. Una mattinata frizzante e divertente con focus sulla medaglia d’oro nella staffetta 4x10 mista di sci di fondo centrata il 19 febbraio 2006 da quattro fenomeni dello sci di fondo alle Olimpiadi di casa, sulle piste di Pragelato, nella quale i campioni Fulvio Valbusa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi, con assente giustificato in sala Giorgio Di Centa, hanno scritto una pagina indelebile per gli sport invernali, seconda solo all’oro di Lillehammer del 1994, ma immensa per il significato.
LA STAFFETTA DELLE MERAVIGLIE Nella foto: Fulvio Valbusa, Pietro Piller Cottrer, Cristian Zorzi. [ Michele Lotti - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Anedoti, sketch, sorrisi e prese in giro hanno fatto divertire il numeroso pubblico presente in sala, così come il loro tecnico, o meglio «mister» (da etichetta dello stesso Valbusa) per la sua serietà, ma pure per il suo spessore professionale, Giuseppe Chenetti.
Si è parlato della vigilia della staffetta delle meraviglie, dello svolgimento della gara, ma pure della magica alchimia di quella squadra con quattro interpreti completamente diversi fra di loro e proprio per questo motivo straordinariamente forti e imbattibili.
È stato il responsabile tecnico Giuseppe Chenetti a sfatare un primo tabù: «Anche se nessuno lo voleva ammettere eravamo da medaglia. Fulvio, Giorgio, Pietro e Cristian nei 4 anni di avvicinamento avevano partecipato a 16 staffette, ottenendo ben 13 podi e 5 vittorie. Dovevamo concretizzare quello che era nell’aria e la vittoria pochi giorni prima in Coppa del Mondo in Val di Fiemme fu un segnale per me emblematico. È stato un grandissimo lavoro di squadra, con la difficoltà di gestire 4 cavalli di razza, ma condiviso con skiman, preparatori e dirigenti di alto livello».
I tre moschettieri hanno rivissuto la loro prestazione, partendo dal primo frazionista, il veronese di Bosco Chiesanuova Fulvio Valbusa: «Io e Giorgio, come primi frazionisti avevamo un compito difficile, ovvero quello di non farsi staccare nelle prime due prove in classico nelle quali rispetto agli avversari scandinavi avevamo qualcosa in meno. Ci siamo riusciti grazie anche allo straordinario lavoro dei nostri skiman, dei quali ci fidavamo ciecamente. Mi ricordo quando Alessandro Leso mi consegnò gli sci completamente senza grip e mi disse di non preoccuparmi e di fare il mio. Quando si scaldarono sulla salita del lupo furono delle bombe».
Il terzo frazionista, il sappadino Pietro Piller Cottrer aveva il compito di ricucire l’eventuale gap, ma non fu così: «Di Centa mi passò il testimone assieme alle altre staffette, poi decisi di provare ad attaccare sull’impegnativa salita, come pianificato con lo staff ed è andata bene. Ci eravamo preparati in maniera maniacale, con tanto allenamento in quota ed eravamo fortissimi. Avevamo studiato tutti i dettagli e in un’atmosfera magica siamo stati insuperabili».
La chiusura per il moenese Cristian Zorzi: «Mi sono trovato in una condizione insolita, ovvero non cercare lo sprint finale, ma provare ad arrivare da solo. Certo che se Pietro mi avesse consegnato il testimone con più margine sarebbe stato meglio..., ma ho dato il tutto per tutto sin dal primo giro. Testa bassa e gestione delle energie, in completa tranche agonistica. A 100 metri dal traguardo ho aperto gli occhi, ero da solo al comando, ed ho capito che il sogno si stava realizzando. Poi la bandiera d’Italia, l’esultanza e il dito sulla bocca. Avevamo fatto la storia».
A vent’anni di distanza, il prossimo 15 febbraio 2026 sulle piste della Val di Fiemme torneranno le Olimpiadi italiane. La speranza è di un’altra giornata indimenticabile.

(mb)


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