Domenica, 25 Maggio 2025 - 12:21 Comunicato 1401

"Progresso e salari non vanno sempre assieme . L’Ai non farà eccezione"

Il Premio Nobel per l’Economia 2024, Daron Acemoglu, mette in guardia contro l’idea che ci siano benefici per tutti

“Cresce la produttività, ma non i salari. Senza regole e visione pubblica, a guadagnare saranno in pochi. E la democrazia rischia di restare indietro”. Insomma, è la lotta infinita tra potere e progresso nell’era dell’intelligenza artificiale. Daron Acemoglu, Premio Nobel per l’Economia 2024 e tra i dieci economisti più citati al mondo, è intervenuto al Festival intervistato da Laura La Posta e Luca Tremolada, giornalisti de Il Sole 24 Ore. Potere e progresso: un conflitto che l’intelligenza artificiale non risolve. Anzi. Acemoglu parte da una constatazione: ogni giorno nascono nuove app, nuovi dispositivi, nuove meraviglie digitali. "Negli ultimi anni sono quadruplicati", dice. Ma la domanda cruciale resta: a chi va davvero il vantaggio di tutto questo progresso? Il tema – spiega – non è tanto il progresso in sé, quanto chi lo governa e chi ne beneficia. "Non bisogna lasciarsi abbagliare: è vero, possiamo definirlo un treno della produttività, ma la storia ci insegna che i benefici non si distribuiscono automaticamente".
La lotta infinita tra potere e progresso nell’era dell’intelligenza artificiale Nella foto: sul palco Laura La Posta, Luca Tremolada, Daron Acemoglu in videocollegamento [ Daniele Paternoster - Archivio Ufficio Stampa PAT]

E cita esempi emblematici: il mulino, la macchina per la filatura del cotone – innovazioni che hanno trasformato l’economia, ma senza migliorare i salari. “Anche oggi accade lo stesso: la produttività cresce, ma questo non significa che crescano anche i redditi”. Secondo Acemoglu, l’automazione è un passaggio obbligato, ma non può essere lasciata a se stessa. Va governata, non subita. Se si vuole una prosperità condivisa, servono politiche attive, altrimenti i vantaggi resteranno concentrati. Nel passato – ricorda – le imprese hanno spesso spinto l’automazione per ridurre i costi del lavoro, comprimendo i salari. Da Alan Turing in poi, l’idea che le macchine potessero “pensare” ha alimentato un sogno collettivo. Ma oggi l’Ai, di per sé, non è un motore sufficiente del PIL. E questo vale non solo per gli Stati Uniti. “Abbiamo messo troppe uova nel paniere dell’automazione – avverte – e questo può accentuare le diseguaglianze”. E i rischi non sono solo economici. Sicurezza e controllo sono già temi cruciali. “Non è solo Facebook a sapere tutto di noi. I primi segnali ci sono già: il controllo può diventare invasivo e concentrato nelle mani di pochi”. Le Big Tech sono oggi più forti, mentre le istituzioni sono più deboli. Una sproporzione pericolosa. Serve una visione più ampia. “Non possiamo rimanere incollati solo all’Ai. Le macchine devono servire l’umanità, non il contrario”. Gli Stati Uniti – osserva – non hanno ancora definito un quadro normativo efficace. L’Unione Europea, al contrario, ha fatto molto, ma serve più innovazione, non solo regolazione. Una provocazione finale: “In Silicon Valley oggi ci sono moltissimi europei. Innovano lì, non qui. Questo dovrebbe far riflettere”. Anche l’istruzione, conclude, può migliorare grazie all’intelligenza artificiale, ma non senza condizioni. “Va bene che uno studente dialoghi con un chatbot, ma solo sotto la supervisione di un insegnante in carne e ossa”.

(gt)


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