
Era lo Showtime dei Lakers anni ’80 e Michael Cooper volava sul parquet con quelli che lui stesso stasera ha definito “fantastici compagni di squadra”: star che portano il nome di Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e James Worthy.
Rispondendo alle domande di Davide Chinellato, giornalista della Gazzetta dello Sport, Michael “Coop” Cooper li ha descritti uno dopo l’altro con l’affetto che si riserva a dei fratelli perché “ci volevamo bene, ci siamo molto divertiti e ancora oggi organizziamo dei ritiri per vederci”.
“Larry Bird è stato il mio avversario più difficile – ha raccontato – ma mi ha anche preparato tanto: lo studiavo, mi riguardavo le sue partite, volevo interpretare le sue mosse e, prima di ogni partita, dovevo sapere cosa mangiava, se aveva dormito e come stava”. Abilità che gli è servita anche contro altri avversari storici, tra cui non ha mancato di nominare Michael Jordan, che all’epoca era la star dei Chicago Bulls.
“Magic Johnson – ha proseguito – è arrivato due anni dopo di me e ha portato tantissima gioia e allegria. Lui giocava per divertirsi ma ogni tanto dimenticava che il basket è un business che fa girare tantissimi soldi”.
Per la verità, anche grazie all’arrivo di Magic e alle gesta dei Lakers, ha spiegato Cooper, in quel decennio, l’NBA è diventato uno spettacolo, un fenomeno mondiale ed è diventato uno degli sport più popolari al mondo. Parole che hanno trovato conferma anche nelle considerazioni di Chinellato: “Oggi la Lega ha tantissimi tifosi anche in Italia che nel 1981 è stato il primo paese a trasmettere le partite in tv la domenica mattina”.
Parole di stima sono arrivate da Cooper anche per Abdul-Jabbar: “Kareem è la persona più intelligente che ho avuto il privilegio di conoscere. Lui sapeva tante cose, era molto impegnato nel sociale, e ci dava consigli di vita oltre che di pallacanestro”.
E arrivando, infine, a parlare di sé, si è definito “magico, di valore e coraggioso” ma senza arroganza perché subito ha aggiunto “ero un giocatore di gruppo”.
“Coop” è stato scelto dai Lakers al terzo turno del Draft 1978 e nel 1987 è stato nominato miglior difensore dell'anno. “Fin da subito – ha ricordato – mi hanno fatto capire di aver un talento per la difesa ma il 1987 in realtà è stato il mio anno più offensivo, perché andare all’attacco in fondo serve anche a difendersi, e quell’anno ci siamo guadagnati la finals contro i Celtics. Non ho mai cercato di vantarmi di questo titolo perché volevo solo essere uno della squadra”.
E alla domanda su quale sia il suo messaggio oggi per i più giovani, la risposta è stata quella di ricordarsi che il basket è un gioco, a volte intenso e totalizzante, ma “nella vita si è molto di più che atleti”.