Domenica, 12 Ottobre 2025 - 12:54 Comunicato 2958

Lavagna, dialogo e progettualità: ecco il metodo Benítez

Ha conquistato il pubblico del Festival Rafael Benítez. L’ha fatto con la competenza, con la simpatia e con l’empatia. E come si fa a non applaudire un allenatore che sa parlare di tecnica, di Coppe e di società sportive senza mai dimenticare il lato umano dello sport? Un cocktail di competenza e calore mediterraneo che funziona in campo ma anche fuori. E che in campo funzioni, lo dicono gli almanacchi del calcio: il “re di coppe” vanta 13 titoli conquistati in 3 Paesi e in 6 squadre diverse. Una carriera lunghissima, quella di Benítez, che ha preso il via a ventisei anni con le giovanili del Real Madrid nel 1986. Successi in mezza Europa, fra i quali spicca la Champions con il Liverpool. Poi due Coppe Uefa col Valencia e col Chelsea e due titoli della Liga, ancora col Valencia. Nel nostro Paese ha vinto la Supercoppa Italiana con l'Inter nel 2010 e poi, nel 2014, Supercoppa e Coppa Italia con il Napoli.
RAFAEL BENÍTEZ: IL CALCIO A MODO MIO Nella foto: Rafael Benítez [ Daniele Paternoster - Archivio Ufficio Stampa PAT]

A dialogare con il tecnico spagnolo al Palazzo della Regione, il giornalista Antonio Giordano. Sul palco del Festival dello Sport di Trento Rafa ha portato il proprio metodo, con tanto di lavagna e pennarello. Ma il suo non è affatto un approccio “ex cathedra”. Mentre snocciola schemi, dati e statistiche, spiega che i numeri sono sì importanti, ma prima c’è la partita, ci sono i giocatori e poi si guardando i dati.
“Lavoro anche con l’intelligenza artificiale – ha spiegato – ma nel calcio non si può prevedere tutto, ogni partita è diversa.” “Ogni allenatore – ha aggiunto – deve avere la propria personalità, il proprio metodo. Tutti ormai con internet e l’IA possono vedere e applicare il modo di lavorare di altri allenatori, ma la differenza è quando vai alla lavagna e quando hai un dialogo con i giocatori. Ho un buon rapporto con tanti di loro, e quelli che sono diventati allenatori mi dicono che ora capiscono le mie scelte di un tempo nei loro confronti.” E in tema di metodo, il tempo è per Rafa un altro ingrediente fondamentale. “Un allenatore deve costruire. A me piace far crescere i giocatori, far capire loro le mie idee e ci vuole tempo.” Motivo per il quale la Nazionale non è un suo obiettivo. “Sarebbe interessante – ha spiegato – ma si lavora troppo poco. Andare al Mondiale per perdere non è uno stimolo per me.”
Nella ricetta di Benítez, laureato in educazione fisica e con tanta pratica sportiva alle spalle, anche viaggiare, conoscere, fare esperienze internazionali. Un approccio adottato sin dagli esordi, quando arrivò anche qui in Trentino, ad Arco, mentre allenava gli allievi del Real. “Per i giovani – ha detto – è importantissima l’esperienza internazionale perché li fa crescere come calciatori e anche come persone.” “Ho viaggiato tanto in Italia – ha aggiunto Benítez – visitando Coverciano, andando a Milano, incontrando Sacchi, Capello. Facevo un sacco di domande, sembravo un giornalista; bisogna avere la mentalità aperta.” E a proposito di mentalità: “Il gioco oggi è diverso, perché si fa pressing alto. Il calcio moderno è uomo contro uomo, intensità, velocità e verticalità.”
Fra i tanti ricordi rivissuti al Festival, l’esperienza col Valencia. “Abbiamo vinto tanto perché facevamo pressing d’intensità. Cambiavo anche sette giocatori ogni partita e la squadra vinceva, il team si sentiva forte.” E poi, ovviamente, la vittoria in Champions League del 2005. “Per noi – ha raccontato Rafa – vincere contro Juve, Chelsea e Milan è stato qualcosa di spettacolare. Ma Il mio orgoglio più grande – ha aggiunto – sono le promozioni con le squadre piccole.” Fra i rimpianti, la finale di Champions del 2007 contro il Milan. “Abbiamo giocato meglio – ha detto Benítez – ma abbiamo perso.”
E l’Italia? “Napoli per me è stata un’esperienza particolare, dal primo giorno. Mi è piaciuto tanto anche il ritiro in Trentino. Abbiamo cambiato struttura, mentalità, provando a vincere. In carriera ho avuto qualche contatto con la Juve mentre ero a Liverpool, ma non sarebbe corretto spiegare cosa è successo. Il calcio italiano sarà sempre competitivo per una questione genetica: si vuole vincere.”

(ac)


Immagini