
“Satelliti, camere e sensori. Arriveremo a raccogliere 40 gigabyte di dati per appezzamento di terreno. L’importante è raccogliere questi dati, organizzarli, annotarli, capire come utilizzarli e, infine, condividerli”, ha sottolineato Pietro Franceschi, PhD al Research and innovation centre della Fondazione Mach.
Nella viticoltura moderna, l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il monitoraggio e la gestione dei vigneti, consentendo ai viticoltori di migliorare la qualità del raccolto e ottimizzare le pratiche agronomiche. Alvise Spagnolli, proprietario dell’azienda agricola Spagnolli Spumanti, non ha dubbi: “Tradizione e aspetto umano sono centrali per veicolare un vino. I dati sono centrali quanto l’intervento dell’uomo, per valorizzare il cosiddetto sapere contadino, che grazie all’IA, può essere confermato e migliorato, potenziato”. Basandosi sui dati raccolti e analizzati dall’IA, i viticoltori possono ottimizzare le operazioni agronomiche in tempo reale. Ad esempio, i sistemi basati su IA possono suggerire il momento ideale per la potatura, la concimazione o la vendemmia, considerando variabili come le condizioni meteorologiche previste e le caratteristiche specifiche del vigneto. L’adozione dell’IA nel monitoraggio e nella gestione dei vigneti non solo migliora l’efficienza operativa, ma può anche ridurre gli impatti ambientali. Ottimizzando l’uso delle risorse idriche, riducendo l’uso di pesticidi attraverso interventi mirati e minimizzando il consumo energetico, i sistemi basati su IA supportano pratiche agricole più sostenibili e rispettose dell’ambiente.
Infine, il capitolo consumatori e sommelier virtuali. Valentina Bertini, wine manager Gruppo Langosteria: “I sommelier creati con l’intelligenza artificiale possono essere di grande utilità ma hanno dei pericoli, in primis di carattere commerciale – afferma la Bertini -. Il rapporto personale tra sommelier e cliente, ossia la parte empatica, il fattore umano, è insostituibile”.
L’incontro si è chiuso con la riflessione di Massimo Sideri, editorialista di Corriere della Sera: “Marcel Proust aveva anticipato dal punto di vista letterario qualcosa che la scienza ha appena scoperto, con le madeleine: la memoria proustiana ha in verità un fondamento scientifico perché l’olfatto è il senso più ricercato e complesso del gusto e quello più vicino al cervello, l’unico che non subisce delle mediazioni, passando attraverso l’amigdala e l’ippocampo, parti deputate al percorso mnemonico. Dico questo per spezzare una lancia a favore dell’essere umano, perché l’olfatto – che è l’ultimo miglio nel rapporto con il vino - non potrà mai essere appannaggio dell’intelligenza artificiale”.
Rassegna stampa ad uso interno: Articolo da L'Adige - 22.09.2024