Ad avviare la discussione, Chiara Pavan che, grazie alle sue pratiche di cucina sostenibile ha affiancato alla Stella Michelin la Stella Verde Michelin. Di fatto, come racconta a Divina Vitale, la sua è una cucina basata sul rispetto dell’ambiente circostante e sull’attenzione all’impronta che lascia sul territorio. Un territorio fragile, come spiega, visto che la laguna nord di Venezia vive diverse problematiche, tra cui quella dell’aumento di salinità del terreno a danno dell’agricoltura. La fortuna, prosegue, è che l’isoletta di Mazzorbo su cui ci troviamo è molto verde rispetto alle altre della laguna, e ha molti orti e alberi. “Qui i proprietari di Venissa all’inizio degli anni Duemila hanno fatto ripartire una produzione vinicola recuperando un vigneto autoctono e vi è un sistema di orti sociali, in parte gestiti dal ristorante e in parte da famiglie del luogo, dove è bandito l’utilizzo di prodotti chimici”.
E per ridurre l’impatto climatico, da quattro anni Chiara ha deciso di non utilizzare più la carne e destinare solo il 30% del menù alle proteine animali, utilizzando specie invasive, come i granchi blu. “Un modo – spiega, anche per far prendere coscienza di questi fenomeni, che sono molto inquietanti”.
Una filosofia coraggiosa, come ha commentato Divina Vitale, anche perché è davvero complesso cucinare creativo vegetariano. “In effetti – aggiunge la chef – vi è una grande ricerca per offrire comunque alla fine del pasto proposte che in qualche modo ricordino la carne e le sue caratteristiche, soprattutto attraverso l’utilizzo di leguminose”.
Fondamentale, conclude, anche applicare pratiche di recupero di vario tipo, come l’uva acerba da diradamento per l’acidità al posto del limone, e studiare menù che possano trasferire alla clientela un’etica del cibo, favorendo al contempo la conoscenza di prodotti dimenticati cosicché i produttori possano essere agevolati a coltivarli.
In assoluta sintonia con il pensiero di Chiara, Eugenio Boer, lo chef nomade che diventa autoctono in qualsiasi posto in cui va. Mezzo italiano, mezzo olandese, è passato dalla Liguria alla Sicilia alla Germania, per poi tornare in Sicilia e trasferirsi poi in Toscana e in Trentino Alto Adige. Ora è a Milano da 11 anni ma sottolinea come in qualsiasi posto in cui è stato è riuscito a conoscere e integrarsi, non solo a livello di cucina ma anche di rete sociale, assorbendo l’identità dei diversi luoghi.
Sul tema del vegetale ricorda come gli stessi piatti più famosi della cucina italiana lo siano, dalla parmigiana alla pizza, fino a pietanze come la pasta al pomodoro, giardiniera, insalata russa. È pero importante, a suo avviso, poter arrivare ad una cucina di questo tipo passo dopo passo, senza imposizioni ma partendo da una propria consapevolezza e necessità. “Io personalmente applico il mio background sull’utilizzo di proteine animali giocando sul vegetale, cercando di non far mai mancare quello che un ospite si aspetta da una cena”.
Ed è stato post Covid che ha voluto integrare il menù con un percorso totalmente vegetale. “Non so se arriverò mai ad una cucina 100% vegetale ma sicuramente la filosofia che condivido con il mio staff è legata alla importanza di non sprecare, motivo per cui può accadere che in un piatto quasi esclusivamente vegetale, come il risotto con melograno affumicato e mandorla che preparo oggi, possa inserirsi un elemento animale”. “L’alta cucina – prosegue – non rappresenta più l’ennesima potenza dello spreco, ma si può fare con consapevolezza e responsabilità, che sono due concetti che devono andare di pari passo con il termine sostenibilità”. Anche per questo, conclude, è molto importante seguire la stagionalità, che rappresenta anche una forma di rispetto per i clienti che è giusto trovino piatti diversi durante l’anno.
E su questo tema si inserisce l’intervento di Myrtha Zierock, responsabile della produzione orticola dell’azienda di famiglia Foradori, ricordando come l’orto dia una forma fisica della stagione in corso e come sia importante saper interpretare e dare valore allo specifico momento dell’anno in cui si vive. Una scelta che porta vantaggi anche in termini nutritivi e un messaggio che va trasferito alle persone, in modo che possano essere educate a promuovere una sostenibilità ambientale, a partire dalle loro richieste. La sua, ricorda, è un’azienda che lavora in biodinamica da ormai 20 anni: forte della notorietà e del successo che li accompagnavano, hanno scelto – in maniera molto coraggiosa – di ripensare la produzione in questo senso. E sono stati premiati. Questo è l’approccio che accompagna anche la produzione orticola: 25 colture in 1.400 metri quadrati che comprendono anche lo spazio sotto le pergole, a cui si è aggiunta anche una produzione di formaggi grazie alle grigie alpine che pascolano tra i vigneti e il fondamentale supporto della casara Irene Piazza.
Il Trentodoc Festival è promosso dalla Provincia autonoma di Trento e organizzato da Istituto Trento Doc e Trentino Marketing, in collaborazione con il Corriere della Sera.