Domenica, 25 Maggio 2025 - 12:40 Comunicato 1402

Comunità energetiche: la transizione parte dalla consapevolezza dei cittadini

Può una piccola comunità energetica rinnovabile (CER) montana indicare la via per una transizione energetica più equa, partecipata e consapevole? Al centro del panel “Sociologia, comunità energetiche e transizione”, esperti di energia, economia e sociologia hanno messo a confronto dati, modelli e visioni per un futuro energetico sostenibile, che non abbia un impatto solo ambientale, ma anche sociale.
Dal caso virtuoso di Storo al ruolo delle infrastrutture, dal concetto di prosumer alla questione delle diseguaglianze, è emersa la necessità di coniugare ambiente, comunità e sviluppo. Ma servono regole chiare, partecipazione consapevole e una gestione politica, normativa, amministrativa capace di restituire ai cittadini un ruolo attivo nella transizione.
Sociologia, comunità energetiche e transizione Nella foto: Davide Tabarelli, Massimo Beccarello, Alberto Faustini, Natalia Magnani, Marina Bertolini, Laura Borsieri [ Nicola Eccher - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Non bastano gli investimenti. Né la tecnologia. La transizione energetica passa anche – e forse soprattutto – dalla partecipazione consapevole delle comunità. È quanto emerso dal panel “Sociologia, comunità energetiche e transizione”, moderato dal giornalista Alberto Faustini, che ha riunito accademici, esperti del settore e operatori di territorio per ragionare su una transizione che, per funzionare, deve mettere al centro il cittadino.

Emblematica l’esperienza raccontata da Laura Borsieri, responsabile Relazioni e Reporting della Cooperativa Elettrica Storica CEDIS, che ha portato il caso della prima comunità energetica del Trentino. “Abbiamo creato una comunità energetica modello, coinvolgendo cittadini, amministrazione e imprese in un progetto che ha rivitalizzato un intero territorio” ha spiegato con orgoglio. A Riccomassimo, frazione montana di Storo che conta appena 50 abitanti, oggi vivono 15 bambini e ragazzi, immersi in un contesto che coniuga sostenibilità, presidio del territorio e inclusione sociale, con iniziative per le scuole, tra cui quella di promozione delle materie STEM tra le giovani studentesse.

Ma costruire comunità energetiche non è sempre semplice. Natalia Magnani, sociologa dell’ambiente all’Università di Trento, ha sottolineato come in Italia le iniziative siano ancora poche e spesso in fase iniziale. Sono state infatti mappate circa 800 nuove comunità energetiche, di cui solo 100 sono pienamente operative. “Il cittadino è stato abituato a essere un consumatore passivo”, ha spiegato Magnani, “ma ora le comunità energetiche propongono un nuovo paradigma in cui la persona è “prosumer”, ovvero sia produttore che consumatore dell’energia.” 

Sull’importanza della partecipazione consapevole del territorio si è soffermato anche Massimo Beccarello, professore associato Università degli Studi di Milano - Bicocca, ribadendo il pensiero delle colleghe: “La consapevolezza del cittadino è il punto di partenza”. Ha aggiunto poi che solo un radicamento reale nel territorio può assicurare sia l’efficienza economica che la giustizia sociale e l’inclusione. Ha però evidenziato che non basta individuare un soggetto e assegnargli incentivi, ma è necessario fornirgli regole chiare - sul piano normativo in primis siamo in grande ritardo rispetto a molti Paesi d’Europa - e strumenti che gli permettano di comprendere un mercato complesso e di tutelarsi. 

A porre l’accento sulle criticità infrastrutturali è stata invece l’economista Marina Bertolini, che ha sottolineato come le reti di distribuzione spesso non siano ancora pronte e serva un coordinamento più forte, oltre a una valutazione attenta degli investimenti per evitare squilibri e inefficienze. Anche perché, per quanto riguarda il PNRR, “I fondi ci sono, ma purtroppo vanno spesi in fretta; ci vuole quindi visione”. Ci sono aree del territorio che richiedono grande attenzione, perché non presentano ancora le condizioni per accogliere con beneficio le comunità energetiche.

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha spiegato come, nonostante la forte volontà di affrontare il cambiamento climatico, la situazione globale resti drammatica: ogni anno si emettono quasi 40 miliardi di tonnellate di CO2 e i combustibili fossili rappresentano ancora l’80% del mix energetico mondiale. E ha quindi scosso e acceso il dibattito - evidenziando profonde divergenze tra gli esperti - nell’affermare con forza che per ridurre davvero le emissioni di CO2 a livello globale “abbiamo bisogno anche del nucleare, una grande fonte di densità energetica che non emette CO2”; le energie rinnovabili, pur essenziali, siano intermittenti e non programmabili, quindi non bastano. Insomma, senza il nucleare, secondo Tabarelli, la transizione energetica è irrealizzabile. 

Tra visioni contrastanti degli esperti sulle fonti energetiche da privilegiare e i limiti infrastrutturali che ancora segnano molti territori italiani, tra i ritardi normativi e una partecipazione ancora molto timida, la sfida resta aperta. Ma i segnali, ovvero i primi esempi concreti di buone pratiche e nuove consapevolezze, indicano comunque una possibile direzione giusta: un’energia che, oltre a essere pulita, sia anche condivisa.

(ss)


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