
Jean Marie Del Bo, vicedirettore de Il Sole 24 Ore, ha rilevato come “nelle ultime settimane il tema dei rapporti internazionali sia tornato sul tavolo degli italiani”. Lo scenario bellico in Ucraina e il riassetto degli equilibri mondiali rendono il confronto ancora più urgente. Sergio Fabbrini, Università Luiss Guido Carli, ha spostato l’attenzione sugli Stati Uniti: “La posizione americana nei confronti dell’Europa va letta come un cambiamento strutturale, non contingente. L’ideologia del ‘Make America Great Again’ non è un fuoco fatuo. L’attuale amministrazione non ha al suo interno alcuna figura che abbia rapporti di discendenza diretta con l’Europa. Anzi, ci considerano in declino, sia sul piano economico che valoriale”.
Anche Fabbrini ha citato J.D. Vance come figura emblematica: “Rappresenta quella componente profondamente religiosa della nuova élite americana. Noi europei, per loro, siamo troppo secolarizzati. Lo stesso Peter Thiel, cofondatore di PayPal, è portatore di questa visione”.
Fabbrini ha quindi introdotto una distinzione chiave: “Trump è un rivoluzionario, benché conservatore. Il nazionalismo americano, infatti, è l’ombrello che tiene insieme queste istanze. Il paradosso è che, mentre negli Stati Uniti il nazionalismo è un collante interno, in Europa è una forza disgregatrice, usata contro l’Unione. È una contraddizione che si manifesta con forza proprio in Italia: il nostro nazionalismo lavora, di fatto, a favore degli interessi statunitensi”. L’analisi si è chiusa con un monito storico: “Il nazionalismo europeo ha generato due guerre mondiali e un olocausto. Oggi viviamo in un mondo sempre più polarizzato, dominato da grandi potenze. Ma la democrazia ha reso impensabile una guerra tra Francia e Germania: una conquista da non dare per scontata. Essere compiacenti con chi mina questi equilibri è un rischio gravissimo per le democrazie”.