
Tecnica sopraffina, con un fisico da giocatore moderno e la "veronica" come marchio di fabbrica in campo sembrava "danzare" fra gli avversari come ha detto ieri sullo stesso palco Zlatan Ibrahimovic. Il campione francese ha ricordato la sua infanzia a Marsiglia dove giocava in strada, in camera il poster di Platini, altro protagonista del Festival. "Cosa ti ha insegnato tuo padre?" chiede Veltroni. "Mi ha insegnato l'importanza del rispetto, cosa che ho cercato di trasmettere ai miei figli".
Alla Juventus è arrivato nel 1996 vincendo due scudetti e sfiorando quella Champions - due finali perse - che ha poi vinto e rivinto, anche da allenatore, al Real Madrid. "All'inizio alla Juve è stata dura, Ma ho imparato molto, grazie anche alla fiducia che mi faceva sentire Marcello Lippi, uno degli allenatore più importanti della mia vita. L'Avvocato Agnelli a volte mi telefonava alle 6 di mattina per complimentarsi con me. La Juve la porto nel cuore".
La partita più importante? "Senza dubbio la finale mondiale vinta con il Brasile nel 1998 a Parigi. Era quello che sognavo da bambino".
Il futuro? "Ho smesso a 34 anni, avrei potuto giocare ancora qualche anno, ma mi pesava stare lontano dalla mia famiglia. Ma non escludo di tornare nel calcio come allenatore". Dove? Il pubblico urla "alla Juve". Tutto può essere, dice Zidane, che però poi confessa che sarebbe felice un giorno di allenare la nazionale francese.
Il giocatore più forte: "Il mio idolo era Enzo Francescoli, ma certamente Ronaldo il fenomeno era incredibile. In allenamento faceva cose strabilianti". Infine un giudizio sul calcio di oggi. "Vorrei vedere un gioco più offensivo e meno fisico - dice Zidane. Il ruolo del numero "10", il fantasista dietro le punte, sta sparendo".