Giovedì, 07 Ottobre 2021 - 12:37 Comunicato 2775

Lo psicologo Fredella delinea le regole per crescere al meglio i nuovi calciatori di domani
Vademecum per nuovi campioni più consapevoli

Comincia dai bambini, la quarta edizione del Festival dello Sport, da chi campione lo sarà un giorno, con una serie di spunti, offerti da Andrea Fredella, psicologo e allenatore, e con una scolaresca a fare da audience. Dal rapporto bambini-allenatore, passando per l’importanza dell’errore e della gioia, il formatore nel campo della psicologia sportiva, intervistato da Carlo Martinelli, delinea alcune regole base per un calcio nuovo e migliore, soprattutto tra chi dà i suoi primi calci al pallone. «Il calcio deve occuparsi tanto del fisico, quanto della psiche. E’ fondamentale che l’allenatore comunichi in maniera corretta per sviluppare l’autostima dei ragazzi – afferma -, ma anche che insegni loro ad affrontare l’errore, valorizzi i rapporti gerarchici e il rispetto, permetta di divertirsi. E non perché frase fatta, ma perché la dopamina, la gioia, consentono un miglior apprendimento».
Andrea Fredella intervistato da Carlo Martinelli al Festival dello Sport [ Ufficio Stampa PAT]

Dai bambini agli adulti, quello che Fredella, formatore di grandi team come Milan e Atalanta ma anche e soprattutto di giovani calciatori, auspica, è un mondo dell’allenamento calcistico più consapevole: «Anche nelle grandi squadre di Serie A, i mister risultano spesso molto esperti, ma molto poco consapevoli: perché si fa un determinato esercizio? Cosa sviluppa?». Ed è in direzione di questa maggiore consapevolezza, che va il suo libro, scritto in collaborazione con Gian Marco Mazzocchi ed edito Erickson, “A scuola di calcio”. Una scuola che riguarda tutti. In primis, certo, chi allena, che «deve tenere conto del fatto che chi gioca, lo fa innanzitutto per passione ed entusiasmo, ma che, poi, il calcio non è solo un gioco: è uno strumento per trasmettere valori formativi e cognitivi fondamentali» - spiega. «C’è il fisico, c’è il campo, ma c’è anche la psiche, l’autostima, i rapporti che si creano in spogliatoio – prosegue -. Le relazioni tra bambini devono essere indirizzate in maniera tale da riconoscere e valorizzare i ruoli. Per esempio, se si sta vivendo un momento teso, si può lasciar spazio al bambino-umorista, affinché stemperi l’atmosfera. Ma ancora, una squadra, come qualsiasi gruppo sociale, prevede rapporti bambino-adulto: il mister non è un estraneo, ma non è nemmeno un amico, ed è importante che i ragazzi riconoscano questa differenza».
Tra esempi pratici su come comunicare (sempre guardando il team e mai il singolo) e su come gestire le convocazioni (con chiarezza e facendo leva sulla meritocrazia), Fredella delinea le linee guida per migliorare la gestione dei ragazzi: «Alcuni di loro saranno un giorno campioni, e sarà fondamentale ciò che gli avremo insegnato. Penso ad esempio a come gestire l’errore, così che non si sviluppi un blocco, come capita anche ai grandi nomi della Serie A (quindi sicuramente non urlando contro a chi sbaglia, come spesso accade), ma anche all’incentivare la produzione di dopamina, perché “giocare per divertirsi” non sia un luogo comune ma un effettivo stimolo per maggior attenzione e motivazione».
Non meno importante, infine, secondo lo psicologo e formatore, l’uso di esercizi pratici che sviluppino competenze cognitive: «Studi scientifici dimostrano che queste funzioni sono più sviluppate nei calciatori di élite, quindi non possiamo non tenerne conto: gli allenamenti non si possono fare per imitazione da internet o per sentito dire, ma con la consapevolezza che vanno a lavorare su alcuni aspetti piuttosto che altri: la rapidità di movimento tra attacco e difesa, ma anche la memoria di lavoro, ovvero il ricordare dove sono i compagni, dov’è la palla, e prevederne le mosse».

(kd)


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