Domenica, 12 Ottobre 2025 - 20:22 Comunicato 2980

Un incontro fatto di sincerità ed energia: Bebe Vio e Matteo Piano

Al Festival dello Sport di Trento, Matteo Piano, argento olimpico a Rio 2016 e leader della Nazionale italiana di pallavolo, ha condotto un incontro speciale con Bebe Vio Grandis, campionessa di scherma paralimpica. L’atleta si è raccontata in modo aperto e originale, pescando da un’ampolla dei bigliettini, ognuno con una parola, e lasciando che fossero quei termini ad aprire ricordi, emozioni ed esperienze decisive della sua vita. Un dialogo sincero, diretto, ironico e pieno di energia, in perfetto stile Bebe Vio Grandis.
BEBE VIO GRANDIS: NESSUNO VINCE DA SOLO Nella foto: Bebe Vio Grandis. [ Martina Massetti - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Alla parola “Occhi chiusi” Matteo Piano l’ha condotta a pensare ad un abbraccio importante. Bebe ha descritto quello ricevuto di recente a Parigi, dopo la sconfitta in semifinale: “Le aspettative erano che vado lì e vinco. Poi c’è stato l’incontro più brutto della mia vita, aver perso mi ha fatto male. L’abbraccio con i miei fratelli è stato importante perché mi hanno detto che a loro vado bene così”. Ripensando a una medaglia, ha ricordato con affetto il bronzo di Rio de Janeiro, arrivato contro ogni previsione: “Non era atteso, abbiamo lottato tanto, stavamo perdendo e poi abbiamo vinto 44-45”. 

Con “Gesti” Bebe Vio Grandis ha raccontato l’importanza delle attenzioni quotidiane e di chi sa starti accanto nei momenti più duri. Ha evocato i gesti del suo allenatore delle Paralimpiadi di Tokyo: “Quando ho avuto tanti problemi, faceva male allenarsi, ma lui sapeva quando consolarmi e quando darmi lo spintone per dire: vai, altrimenti non otteniamo niente!”.
Ma ha ricordato anche i piccoli gesti di gentilezza che scaldano la giornata: un saluto, una frase che ti carica, “il caffè della barista della palestra. Più ce ne accorgiamo, più ci rendiamo conto di quanto possiamo essere felici”. 

Con “Delusione” ha ammesso la sua più grande paura, cioè quella di deludere le persone. “Faccio qualsiasi cosa per evitare di deludere” ha detto Bebe.
Alla parola “Mollare” ha raccontato il primo momento in cui ha pensato di lasciare la scherma: “È stato a undici anni, prima della malattia. Non rientravo negli standard delle mie amichette, giocavo a calcio con i maschi e stavo per dire ai miei genitori che volevo smettere con la scherma. Poi ho avuto la malattia e ho capito che sbagliavo a mollare la cosa che amo di più al mondo”.
Riflettendo su “Cattiverie”, l’atleta ha affrontato un tema che la tocca da vicino, quella degli sguardi che sembrano giudicare perché “Guardare e non chiedere è una cosa che mi massacra. Se hai una curiosità, non fissare: chiedi!”. Per lei il problema è una “cattiveria culturale”, da sostituire con una curiosità sana e dallo sguardo deve nascere curiosità buona. Con “Domandone” ha parlato invece delle domande che sembrano empatiche e compassionevoli ma non lo sono davvero. 

La parola “Lacrime” l’ha portata a raccontare il suo modo di gestire le emozioni. “Piango di più per le cose belle. Per le brutte sembro più distaccata, sono più oggettiva, realista, cerco di affrontarle e guardare da fuori la situazione. Più che piangere mi arrabbio. Per le cose emozionanti mi scende la lacrima, soprattutto per emozioni sportive”. 

Infine, il “Sacrificio” che per lei non è qualcosa di pesante se nasce dalla passione perchè “Se fai una cosa perché ci credi non è così tosto. Fare l’atleta è bello perché fai quello che ti piace, sei legittimato a buttare fuori”.
Durante l’incontro è stato proiettato anche un video dedicato alla Bebe Vio Academy, realtà gratuita e inclusiva per bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni. “Vogliamo che sia l’emblema della società”, ha spiegato. I giovani partecipanti provano sei sport diversi in un percorso lungo un anno, con tanti volontari e l’obiettivo di imparare cosa significa davvero inclusione attraverso il gioco. Le sedi sono a Roma e Milano, ma il progetto è destinato a crescere: “Lo scopo è diventare portatori di inclusione perchè i bambini crescono con la mentalità di sapere cosa è inclusione. Se una cosa la conosci poi la abbracci come parte della tua normalità”.

(vb)


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