Uniti nella diversità per la pace e la democrazia, dunque. "Perché l’Europa - ha proseguito Rossi - o è unità nella diversità per la pace e la democrazia oppure diventa un puro spazio geografico dai confini incerti. Dove il passo dai nazionalismi alla guerra è molto più breve di quanto si immagini!
I cosiddetti realisti della politica ci mettono spesso in guardia dal sognare un mondo che non c’è. Ma bisognerebbe anche ammettere che questo mondo non potrà mai cambiare in meglio se ci si limita a descriverlo così come è già ora, soprattutto se del presente si mette in evidenza solo ciò che divide e provoca paura tra la gente.
Io credo invece che anche sulla questione dei profughi, tra chi da una parte solleva solo paure e erige muri e chi dall’altra sottovaluta la situazione presente per facile buonismo o per ragioni ideologiche ci sia una 'terza via'.
Una via che cerca di tenere sempre insieme almeno cinque cose:
1. la dignità delle persone anzitutto, e questo non può valere solo per iracheni e siriani.
2. In secondo luogo, c’è quella politica estera europea che dovrebbe parlare con una sola voce e che oggi è invece sacrificata tra leadership tedesca e risorgenti nazionalismi, soprattutto a est.
3. In terzo luogo, c’è l’azione dei singoli Stati nazionali ed è chiaro che se si bloccano completamente i flussi migratori dalla Turchia, la questione, globalmente intesa, non è affatto risolta ma si sposta sul Mediterraneo. Qui si rimprovera l’Italia, talora anche a ragione I(i nostro paese non ha affrontato il fenomeno con la dovuta forza e lungimiranza) di non fare abbastanza per il controllo e la gestione dei flussi migratori da sud ma si dimentica spesso che a separare l’Italia dalla Libia non c’è una semplice barriera metallica, quindi decisioni come quella presa dall'Austria non sono praticabili. C’è il mare e nel mare, nonostante il generoso impegno della marina italiana, sono già morte migliaia di persone. E poi c’è una seconda cosa da non dimenticare: in Libia si sta ancora combattendo una guerra civile e il governo riconosciuto dall’Occidente democratico non ha affatto il controllo del territorio. Se dunque in linea di principio possiamo essere tutti d’accordo che i problemi vanno risolti alla loro origine bisogna pure ammettere che una indicazione realistica e al tempo stesso strategica, non semplicemente tattica o strumentale, su cosa fare di fronte alla questione libica oggi non c’è. Né a livello europeo, né a livello di governi nazionali, né a livello di singole forze politiche!
4. In quarto luogo dobbiamo fare i conti non solo con la storia passata ma anche con l’alta valenza simbolica di alcuni luoghi europei. E certamente tra questi un posto drammaticamente importante lo occupa il passo del Brennero.
5. Vengo all’ultima cosa che non dovrebbe mai mancare anche nella gestione di questa drammatica crisi: è la necessità di buone pratiche collaborative tra città e territori diversi. Anche in termini di cooperazione transfrontaliera tra collettività locali e regionali. Qui c’è lo spazio d’azione dell’Euregio. E a me sembra che almeno su questo punto il bilancio complessivo possa essere considerato positivo: sia dal punto di vista organizzativo che da quello politico. Anche in occasione della crisi dei profughi i tre Länder si sono mossi insieme ed hanno parlato con una sola voce sia a Roma che a Vienna. Certo noi non possiamo riempire le falle che si sono manifestate nei 4 punti precedentemente toccati, ma certo non è un caso che tra tutte le Euroregioni la nostra sia l’unica in cui si stia mettendo a punto un coordinamento organizzativo e politico effettivo, anche in termini di task force comune per affrontare una eventuale crisi che tutti scongiuriamo.
Nell’attuale terza fase il diritto internazionale promosso dal Consiglio d’Europa e ancor più l’entrata in scena del diritto sovranazionale dell’Unione europea spingono per rafforzare ulteriormente la cooperazione transfrontaliera.
In questo contesto il Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale di questa Euroregione si pone senz’altro come strumento operativo per la gestione amministrativa di singoli progetti circoscritti e dunque per il migliore esercizio delle rispettive funzioni dei nostri 3 teritori, anche in considerazione del fatto che i singoli bacini di utenza sono piccoli: del resto insieme non raggiungiamo i 2 milioni di abitanti!
Ma il GECT diventa de facto anche un prezioso strumento di dialogo per costruire in futuro non solo una “Euregio funzionale” ma anche una “Euregio civile” , quale Euregio dei cittadini e al tempo stesso “Euregio della conoscenza”. Al di là di qualsiasi sorta di nostalgia per quella che a buon diritto da alcuni studiosi è stata definita “Euregio mistica”!
Anche perché gli obiettivi dei GECT nati dal diritto comunitario sono molto concreti:
- rafforzare i legami a tutti i livelli tra le popolazioni coinvolte;
- agire per lo sviluppo del territorio con un’attenzione a diversi ambiti di cooperazione;
- favorire una maggiore concertazione nella partecipazione ai programmi tematici dell’Unione europea;
- rappresentare gli interessi del GECT presso le istituzioni comunitarie e nazionali.
La questione dell’identità
Certo nel suo insieme la nostra Euroregione rappresenta anche un “complesso territoriale” competitivo in ambito europeo e nel mercato globale.
Ma questo confronto con la globalizzazione in atto non potrebbe essere affrontato senza un grande, comune sforzo sul piano culturale, soprattutto là dove la stessa spinta alla globalizzazione solleva continuamente la questione dell’identità dei vari territori.
Ma di quale “identità” vogliamo parlare?
L’integralismo religioso e i risorgenti nazionalismi di questi ultimi tempi, anche all’interno dell’Unione Europea, respingono una visione laica della politica. Integralismi e nazionalismi di ogni tipo sono accomunati dalla pretesa di possedere la verità. Vorrebbero anche che un territorio potesse avere una sola e definitiva “identità”.
Ma dal meglio della cultura e della storia dell’Occidente viene una lezione diversa: l’identità di un territorio è sempre in movimento e soprattutto non è proprietà di nessuno.
Essa si alimenta della capacità di ogni cittadino di mettersi nei panni dell’altro; chiede la condivisione di alcune regole fondamentali; esige comunque dalla politica e dalla cultura una prospettiva di crescita il più possibile condivisa.
Perché oggi voglio parlare anche di identità? Perché ancor più dopo i drammatici eventi di Parigi e Bruxelles – con terroristi cresciuti per così dire in casa, non provenienti dall’esterno come spesso si è teorizzato in maniera del tutto strumentale – dobbiamo riconoscere che non ci sono isole felici. In un certo senso neanche noi lo siamo. Ma dobbiamo anche prendere coscienza che il fanatismo può essere sconfitto non solo con una coordinata azione di repressione tra le varie polizie europee, ma anche con idee forti e una politica che vada oltre i sondaggi emotivi del presente.
Nel caso della Regione europea Tirolo-Alto Adige/Südtirol-Trentino è anche vero che già la storia ci dice che le cose che accomunano i nostri tre Länder sono molto di più di quelle che li dividono:
a. Ci accomuna il fatto di essere “terra tra le montagne” e al tempo stesso “terra di confini” a scavalco del Brennero: terra di valli e di città, terra di minoranze, luogo costante di incontro e confronto tra mondo germanico e mondo latino;
b. Ci accomuna in secondo luogo una secolare abitudine a “fare da sé”: essa ha legittimato esperienze diverse di macro-autonomia e di micro-autonomie e con esse consolidato regole e specifici usi civici per la gestione del territorio delle nostre valli;
c. La nostra Euroregione è poi terra di cooperatori e di cooperazione. Ha sempre avuto a cuore la giustizia sociale e ha promosso l’integrazione con spunti critici che vengono sia dal popolarismo cristiano che dal pensiero democratico laico;
d. L’Euroregione Tirolo-Alto Adige/Südtirol -Trentino è infine terra della Mitteleuropa: nei suoi momenti migliori essa ha insegnato a fare della diversità e dell’inclusione un motivo di forza e non di paura.
Sono concetti che ho ritrovato anche nel discorso di insediamento del mio predecessore, il Capitano del Tirolo Günther Platter, nell’ottobre 2013. Più in particolare, condivido pienamente l’esigenza già allora espressa dal collega secondo cui la politica “deve trasmettere ai cittadini il messaggio che il futuro del Tirolo, dell’Alto Adige e del Trentino sta nella collaborazione euro-regionale”.
Altrettanto importante mi sembra sottolineare la qualità e solidità dei rapporti oggi esistenti ad ogni livello tra il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol, qui rappresentato al suo massimo grado istituzionale dal Landeshauptmann Arno Kompatscher.
Il grande sforzo del GECT in termini di progetti
Gli importanti passi fatti in questi ultimi anni da Innsbruck, Bolzano e Trento ci permettono di affrontare insieme e al meglio le innumerevoli sfide che il GECT Euregio ha davanti a sé.
Basterebbe sfogliare le pagine del programma di lavoro 2016 per rendersi subito conto della mole di lavoro messa in moto!
Quanto poi ad alcuni progetti significativi già realizzati ho avuto modo, non molto tempo fa, di ascoltare gli studiosi trentini che per meriti scientifici – come è avvenuto anche per alcuni colleghi dell’Alto Adige/Südtirol e del Tirolo – hanno potuto contare sul contributo del Fondo Euregio ricerca. Ci hanno raccontato il senso e gli obiettivi dei loro progetti ed è emersa subito la dimensione internazionale della loro ricerca. Io credo che la loro storia sia un esempio concreto di come i soldi pubblici, con il filtro di una selezione molto rigorosa e una prospettiva veramente europea, possano essere spesi bene.
In questa prospettiva formazione e attenzione per le nuove generazioni hanno costituito sin dall’inizio per il GECT un binomio vincente: il Festival della Gioventù di quest’anno ha visto un centinaio di ragazzi di età compresa tra i 16 e i 19 anni confrontarsi insieme sul tema: “Costruire insieme l’Euregio”, prima a Hall in Tirolo, poi a Vipiteno, infine a Pergine. Per i ragazzi delle scuole medie inferiori continuano invece con successo esperienze come l’Euregio-Summer-Camp e l’Euregio-sport-Camp mentre per i giovani universitari il punto di riferimento è l’Accademia dell’Euregio inaugurata l’anno scorso.
Questa certo non è la sede per ricordare tutti i progetti già realizzati in questi pochi anni di vita del GECT.
Lo è invece per lanciare alcune sfide in questa fase di presidenza trentina. Anche qui, naturalmente, non si parte dal punto zero. Né si può pensare che si possa vincere qualsiasi tipo di sfida senza una forte azione congiunta.
Ma veniamo ad alcune grandi sfide che ci attendono anche come presidenza trentina.
Quattro grandi sfide per la presidenza trentina
1. La prima sfida è quella di conoscere meglio la storia passata: anche per combattere ogni forma di risorgente nazionalismo. Serve più memoria storica su tutto ciò che è avvenuto prima e dopo la tragica svolta della Grande guerra sino ai giorni nostri.
In questa prospettiva, già a seguito dell’ultima Giunta del GECT del 30 marzo a San Michele all’Adige, abbiamo dato vita, con apposita delibera, ad un progetto pilota plurilingue e transfrontaliero, finalizzato a incrementare la collaborazione, già positivamente in atto, in materia di storia regionale ed euro-regionale, tra il Centro di Competenza Storia regionale (CeStor) presso la Libera Università di Bolzano e le altre 2 Università dell’Euregio, a Trento e a Innsbruck, il tutto in stretto raccordo con le più qualificate istituzioni di ricerca storica delle 3 Province.
2. La seconda sfida chiede invece più convivenza nel segno della innovazione. Ma questo può realizzarsi solo a partire da un forte investimento in capitale umano e sociale.
Qui si inserisce l’ambizioso compito di promuovere una classe dirigente trilingue euro-regionale e non solo, in grado di cogliere – anche alla luce dell’attuale crisi del “sistema UE” – la complessità dell’azione politica, economica e sociale in una prospettiva europea.
Anche qui una recente delibera del GECT autorizza la costituzione di un gruppo di lavoro per la creazione di una scuola che avrà probabilmente sede a Bolzano. Anche in questo caso, entro ottobre si potrà già contare su uno studio di fattibilità che consideri costi, individuazione degli interlocutori e modalità di attuazione del progetto.
3. La terza sfida: promuovere una concezione integrale, non solo economica, di benessere, secondo una lungimirante azione di modernizzazione all’interno di un quadro strategico per lo sviluppo dello spazio alpino.
Essa dovrà esprimersi non solo attraverso progetti di prestigio come il potenziamento dell’infrastruttura di banda larga ma anche attraverso la valorizzazione di antichi tessuti cooperativistici e paesaggi che, come i semi, non sono mai interscambiabili né illimitatamente disponibili.
Per questo l’interazione tra natura, cultura e comunità, anche su delicati versanti come la politica energetica, andrà sempre “governata”, anzitutto con il coinvolgimento delle popolazioni residenti.
Ecco allora la necessità di scambiarsi conoscenza e modelli di best-practice anche in termini di Euregio sociale, politiche interculturali, ambiente, protezione civile e sanità.
4. Infine la quarta sfida: fare dell’Euregio anche la Casa delle opportunità e del merito per le nuove generazioni, a cominciare dal tempo della scuola e dell’università.
Questo significa tra l’altro promuovere e se possibile potenziare ulteriormente secondo un modello “europeo” fortemente innovativo gli spazi degli scambi euro-regionali già in atto tra scuole primarie e secondarie a tutti i livelli e nel segno del trilinguismo. Soprattutto nel secondo ciclo scolastico vanno introdotte con più coraggio sperimentazioni capaci di confrontarsi con il meglio che proviene da oltre confine e dall’Unione europea.
Tutto ciò vale naturalmente anche in termini di mobilità di ricercatori e studenti universitari: sino al punto di chiedersi se non sia possibile utilizzare un semestre dei principali corsi accademici per permettere agli studenti iscritti nelle università euroregionali di frequentare per quell’arco di mesi il medesimo corso indifferentemente a Trento, Bolzano o a Innsbruck.
Questo è del resto il senso dei progetti che usufruiscono del “Fondo Euregio per la mobilità” istituito proprio dal GECT, così come lo spirito della relativa convenzione già citata con i tre atenei dell’Euregio.
Il senso politico di tutto questo
Qual è il senso politico complessivo di tutto ciò?
Credo questo: fare della nostra Euregio una terra attraversata da “confini di seta” in cui memoria, convivenza, benessere e opportunità si diano la mano e camminino insieme.
Come presidente dell’Euregio e al tempo stesso come presidente della Provincia io penso anche che i tre nostri territori siano chiamati anche a trovare luoghi geografici comuni in cui investire risorse umane e finanziarie.
In questo spirito abbiamo creduto giusto, opportuno e utile investire ad Alpbach in Tirolo come centro culturale di eccellenza.
Siamo pronti a fare altrettanto a Bolzano se qui dovesse radicarsi la futura scuola in cui preparare anche parte dei nostri quadri dirigenziali a livello europeo.
Come ho già comunicato nell’ultima Giunta del GECT, per noi trentini sarà invece San Michele il luogo in cui far convergere dai 3 Länder una serie di contributi e risorse sul terreno della sperimentazione nel campo dell’agricoltura, anche con importanti riflessi in termini di formazione scolastica e ricerca scientifica d’avanguardia.
Giunto alla conclusione del mio intervento, spero che anche i lavori di questa seconda giornata del Dreier Landtag possano divenire un’occasione di reciproca riflessione sul senso e gli obiettivi del GECT Tirolo, Alto Adige/Südtirol e Trentino, un GECT che io credo abbia tutte le potenzialità per divenire sempre più un prezioso punto di riferimento per un’Europa esposta alla tentazione della paura e della chiusura su se stessa.