In un contesto come quello italiano, che ha perso 5 milioni di giovani negli ultimi 20 anni e che nel 2023 è sceso sotto la soglia delle 400mila nascite con un tasso di fertilità pari allo 1,2 figli per donna, la ministra ha sottolineato l’impegno dell’esecutivo nell’affrontare il tema demografico, e della denatalità in particolare, con lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro nella prima e nella seconda manovra finanziaria che hanno generato 16 miliardi complessivi di benefici diretti e indiretti per le famiglie.
La ministra ha illustrato la strategia del Governo sul tema, incentrata su tre pilastri: assistenza diretta, con il potenziamento dell’Assegno unico (+3 miliardi di risorse), misure di conciliazione famiglia-lavoro mirate a garantire l’accesso e il mantenimento del lavoro femminile (con il risultato di 260.000 posti di lavoro in più per le donne dall’insediamento del governo), interventi per nuovi asili nido (grazie ai fondi del PNRR e a risorse aggiuntive), servizio che si è inoltre reso sostanzialmente gratuito a partire dal secondo figlio. A tal proposito, citando uno studio di Ocse, la ministra ha precisato come siano le misure conciliative, più che gli asili nido, quelle con maggiore effetto di contrasto alla denatalità.
Guardando fuori dai confini nazionali, Gabbi ha solleticato la ministra spostando l’attenzione sul contesto francese e alle misure adottate dall’Eliseo. Misure che, secondo la ministra, hanno portato ad alcuni risultati positivi perché avviate a partire dagli anni Ottanta, in un momento culturale diverso, e che comunque hanno contribuito a frenare la denatalità e non ad incrementare la natalità.
Restando sul fronte culturale e sociale, la ministra ha sottolineato come a partire dagli anni Sessanta si sia sviluppata nei grandi paesi una cultura anti-natalità, che ha prodotto piani di controllo delle nascite basati sull’idea che a fronte di risorse scarse un incremento della popolazione avrebbe potuto rappresentare un freno allo sviluppo soprattutto economico delle società.
Per la ministra tali provvedimenti hanno contribuito a creare un immaginario distorto della genitorialità e della maternità, a cui la società deve tornare a restituire un valore e un riconoscimento alti, dal momento che “l’essere genitori è il lavoro più socialmente utile che ci sia”, le parole della ministra.
Altro fronte su cui occorre continuare a lavorare è quello delle imprese, dal momento che una donna su cinque abbandona il proprio lavoro dopo la nascita del primo figlio. Su questo aspetto la ministra ha assicurato gli ottimi riscontri di due strumenti messi a punto dal suo ministero, ovvero la Certificazione di Genere (2200 imprese certificate) e il Codice Deontologico, a testimonianza della crescente sensibilità del mondo datoriale sul tema.
La ministra ha poi annunciato lo stanziamento di 30 milioni per i circa 600 centri per la famiglia presenti sul territorio nazionale, a cui il Ministero assegnerà dei compiti specifici, e di 60 milioni per i centri estivi.
Natalità, accanto a sostegni economici e servizi conciliativi è necessario un cambio culturale
Creare un contesto sociale e culturale “amico della famiglia” che valorizzi la genitorialità e la maternità, garantendo alle donne la libertà di avere figli - o di non averne - e la possibilità di conciliare l’essere madri con le altre possibilità che la vita può offrire.
Questa la sfida per rilanciare la natalità nel nostro Paese secondo la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, intervenuta oggi al Festival dell’economia di Trento nel panel “Riarmo demografico alla Macron oppure scelte consapevoli delle donne?”, moderato dalla giornalista de Il Sole 24 Ore Barbara Gobbi.
Questa la sfida per rilanciare la natalità nel nostro Paese secondo la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, intervenuta oggi al Festival dell’economia di Trento nel panel “Riarmo demografico alla Macron oppure scelte consapevoli delle donne?”, moderato dalla giornalista de Il Sole 24 Ore Barbara Gobbi.