
“Lo stesso giorno in cui Neil Armstrong mise piede sulla luna un diciottenne Moser disputò la sua prima gara” esordisce Cassani introducendo il ciclista professionista italiano più vincente in assoluto, 273 vittorie, dietro solo a Merckx e Van Looy.
Il racconto, accompagnato dalle immagini, parte dall’infanzia di Francesco, vissuta a Palù di Giovo con la famiglia (dodici fratelli), e Moser non disdegna di raccontare al pubblico curiosità e aneddoti, dalla fede della madre (“Ha consumato i banchi della chiesa”), alla caduta quasi mortale all’asilo (“Pensavano fossi morto e tutti, bambini e maestra, si misero a pregare”), alla vita in campagna (“una delle ultime vacche l’ho comprata io con i primi guadagni delle corse”).
Gli inizi, a diciotto anni, spinto dai fratelli già corridori, Enzo, Diego e Aldo, e subito l’introduzione di alcune novità sconosciute al mondo delle due ruote: gli occhiali da ciclista, i copriscarpe in neoprene. “Gli occhiali mi facevano comodo perché soffrivo di congiuntivite mentre i copriscarpe furono un’intuizione nata osservando dei calzari da sub, che insieme ad un’azienda dell’epoca adattammo”.
Il racconto scandisce poi le tappe salienti della carriera di Moser: giro di Lombardia nel 1975, il campionato del mondo in Venezuela nel 1977, le tre vittorie consecutive alla Parigi-Roubaix tra il 1978 e il 1980, l’anno magico del 1984, quando lo “sceriffo” sarà capace di aggiudicarsi Giro d’Italia, Milano-San Remo e lo storico Recod dell’ora a città del Messico. “E pensare che allora la mia squadra, la GIS, neanche voleva partecipassi, abbiamo dovuto convincerli” ricorda Moser, che a quella competizione sperimentò alcune importanti innovazione sia tecniche sia nella preparazione, dalla ruota lenticolare al cardiofrequenzimetro sino all’allenamento SFR - salita, forza, resistenza, che cambieranno per sempre il modo di intendere il ciclismo. “Probabilmente i tempi erano maturi perché ciò accadesse e sono stato fortunato a trovarmi al posto giusto nel momento giusto” si schernisce Moser.
Infine un accenno alla storica rivalità con Beppe Saronni (“Impossible andare d'accodo con uno che vuole sempre l’ultima parola”) e un siparietto con un altro grande protagonista del ciclismo dell’epoca, "Monsieur Paris-Roubaix” Roger de Vlaeminck, presente in sala. Compagni di squadra due volte, nel 1978 alla Sanson e nel 1984 alla Gis, ricorda Cassani. “Sì, ma ci sono andato solo perché mi hanno pagato molto bene” precisa subito il belga salito sul palco, aggiungendo: “Non è possibile essere in squadra con uno forte come Francesco o come Merckx, due così forti in una sola squadra sarebbe troppo”.