“I risultati delle analisi – spiega Marco Salvatori, dottorando dell’Università di Firenze in collaborazione con il MUSE e primo autore dello studio – ci mostrano che delle oltre 500 mila foto raccolte in 7 anni di ricerca (dal 2015 al 2022) il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte alle fototrappole è stato 7 volte superiore a quello della specie selvatica più comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che è risultata più raramente fotografata. Il passaggio delle persone inoltre non differisce fra le fototrappole presenti all’interno del Parco Naturale Adamello-Brenta e quelle poste al di fuori, dimostrando, come prevedibile, una potenziale pressione anche all’interno dell’area protetta”. Nonostante questa frequentazione umana molto intensa, tuttavia, le specie studiate hanno mostrato tendenze di presenza stabili e in alcuni casi anche in crescita, un segnale rassicurante per la loro conservazione.
Tutte le 8 specie considerate (orso, cervo, camoscio, capriolo, tasso, volpe, lepre e faina) hanno rivelato una chiara risposta comportamentale al disturbo provocato dal passaggio delle persone: nelle zone più frequentate diventano più notturne per diminuire la probabilità di incontrare persone, e concentrano le loro attività di notte anche quando si trovano più vicino ai centri abitati. Non solo, le specie di maggiori dimensioni, come l’orso, il cervo e il camoscio, esibiscono anche una chiara tendenza ad evitare di frequentare le zone in cui il passaggio umano è più intenso. Anche questo può essere considerato un segnale incoraggiante per la convivenza uomo-fauna selvatica.
I risultati dello studio dimostrano quindi come gli animali selvatici mettano in atto tutte le strategie a loro disposizione per minimizzare le probabilità di incontro con le persone. Questi comportamenti non sono però “gratuiti” per gli animali, ma costituiscono un potenziale costo in termini di maggiori difficoltà di movimento, una regolazione non ottimale della temperatura corporea, l’utilizzo di aree meno produttive in termini di risorse alimentari.
“In conclusione – afferma Francesco Rovero, docente di ecologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio - la tendenza a una maggiore notturnalità è una risposta comportamentale comune a molti mammiferi esposti alla presenza di grandi numeri di persone, come testimoniano anche diverse ricerche a livello internazionale. Se, da parte degli animali, l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani è notevole, ora sta anche a noi umani fare attenzione adottando – ad esempio – alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna, una strategia già ampliamente applicata in molte parti del mondo”.
Link allo studio: https://rdcu.be/c29Yi