
Un incubo quello di Padovano, finito poco più di un anno fa, iniziato nel maggio del 2006 quando tre macchine gli sbarrano la strada e quattro agenti in borghese lo trascinano fuori dalla sua auto per portarlo alla caserma di Venaria Reale. Si trattava dell’inizio di un calvario processuale durato diciassette anni che si è concluso con la sua completa assoluzione il 31 gennaio del 2023. Come ha ricordato il calciatore: “In mezzo ci sono stati diciassette anni di processi, la prigione, le umiliazioni pubbliche, gli arresti domiciliari, l’obbligo di firma, migliaia di carte presentate ai giudici prima di dimostrare che non ero l’Escobar, il più grande narcotrafficante del calcio italiano ”. Un’esperienza che ha lasciato cicatrici indelebili nella vita di Michele Padovano ma che gli ha fatto comprendere quanto importante sia la libertà: “Il mio libro nasce dalla voglia di raccontare quello che mi era successo – ha detto l’attaccante bianconero– poi parlandone con mia moglie e mio figlio ho deciso di raccontare la mia storia pensando a chi si trova nella mia situazione, di chi è innocente e si trova in carcere per casi di malagiustizia che sono tantissimi in Italia”. Dopo l’arresto Padovano per dieci giorni è stato sulle prime pagine di tutti i giornali e nei servizi d’apertura dei telegiornali: “Mi sono salvato solo grazie alla forza della mia famiglia che ha sempre creduto in me e questo mi ha permesso di combattere l’ingiustizia dopo la condanna in primo grado e in appello”. Dopo l’arresto molti lo hanno abbandonato: “Quando mi hanno portato in carcere mi sono girato e non c’era nessuno se non i miei famigliari. Pochissimi mi sono stati vicini”. Fra questi il compianto Gianluca Vialli: “Lui è stato una persona eccezionale mi ha sempre voluto bene anche in quei momenti difficili. Si interessava di me quando ero in carcere e la prima telefonata che ho ricevuto quando sono andato agli arresti domiciliari è stato la sua. Gianluca mi manca veramente molto ma sono convinto che persone come lui non moriranno mai perché hanno lasciato un segno molto forte”. Michele Padovano ha chiamato suo figlio Denis in ricordo del suo compagno di stanza al Cosenza Denis Bergamini la cui vicenda giudiziaria si è conclusa pochi giorni fa, dopo 35 anni, con la sentenza di condanna per omicidio, alla quale Padovano ha voluto essere presente, dell’ex fidanzata del calciatore: “Adesso finalmente possiamo dire che Denis è stato ucciso. Io e chi lo conosceva bene non potevamo credere al suo suicidio. Quando è morto aveva 26 anni e io 22, vivevamo insieme e per me era una sorta di fratello maggiore. Denis era un ragazzo straordinario e meraviglioso: ora questa sentenza ha restituito, solo in parte visto i tempi del giudizio, la dignità alla sua famiglia”.