
Ha corso e vinto, ovunque. La scintilla per i motori quando è poco più che bambino con una storia di migrazione pesante sulle spalle, dalla natìa Istria allora Italia al campo profughi in Toscana, assiste al passaggio della mitica Mille Miglia. E si innamora. Di pistoni, cilindri e ruggito del motore. Anche se sarà l’America, la Pennsylvania dove emigra con i genitori a dargli il primo vero passaggio verso le stelle. Con un’auto ad aspettare i 21 anni da compiere e la terra al posto dell’asfalto. E anche se a casa non ne volevano nemmeno sentir parlare, presto e da subito Mario farà sul serio.
Dall’USAC National Championship, Formula Indy, dove preme il primo vero acceleratore, vincendo due edizioni (1965 e 1966) al campionato Nascar dove, nel 1967, si aggiudicata la 500 Miglia di Daytona. All’orizzonte, però, c’è lei, la Formula 1 dove Andretti fa il suo ingresso trionfale conquistando la prima casella della griglia – la gara no, non riuscirà a portarla a termine - nel GP degli USA, quelli che nel frattempo son diventati la sua casa. “La F1 (e la Ferrari su tutte) è sempre stata l’obiettivo e sapevo di dover arrivare subito a buoni risultati, già dalle serie minori, per poterci arrivare. Per arrivare ad avere un curriculum da poter vantare”.
La prima bandiera a scacchi la conquisterà, nel 1971, in Sudafrica quando inaugura la stagione e il nuovo ingaggio in Ferrari, portandosi a casa anche il miglior tempo sul giro. Poi anni di andate e ritorni nella classe regina fino al 1977 con la stagione piena in Lotus. Piena di presenze e soddisfazioni. Anche se sarà l’anno seguente, il 1978 quello della consacrazione: il titolo in Formula1, su Lotus, è suo. “L’emozione di arrivare al mio sogno più vero. E che continuerà a d essere lo stesso. Posso dire che sento di essere nato per correre. E non riesco a smettere. La tentazione di mettermi alla guida c’è sempre. Ancora oggi a 85 anni.” Già. Non solo in auto, come fino a pochi anni fa. Ma con un nuovo progetto. Nel 2026 sarà in F1 con la Andretti Cadillac, una scuderia che unisce il marchio Cadillac (General Motors) come partner principale alla struttura del team Andretti Autosport un progetto che lo vedrà nel ruolo di consulente. D’eccezione, davvero. Spinto in questa nuova avventura dal figlio Micheal. “Un pilota che non è stato capito” puntualizza Dallera. “Forse colpa – racconta Andretti - di un’atmosfera e una situazione nel team non troppo serena”.
Ma che Cadillac sarà? “Non si può prevedere il futuro. Ma vedo tanta passione ed energia positiva. Abbiamo dovuto lottare per poter entrare nel circus e questo ci sta motivando molto.” Ma perché la scelta di Bottas e Perez? “Per l’esperienza. Quando parti da zero con una scuderia hai bisogno di essere guidato. In questo caso da chi guida.” E di questa Ferrari cosa pensa? “Io farò sempre il tifo per la Ferrari, comunque. Mi piace Leclerc, è un pilota capace. E arriverà il suo momento. Di Charles e della Ferrari, intendo.” Ed Enzo Ferrari? “Un uomo che era tutto per le sue auto. Uno come me, uno che pensa solo ai motori. Quando nel 1981 mi aveva chiesto di sostituire un pilota di F1 gli avevo chiesto di provare la vettura: ho fatto 87 giri e lui lì a guardarmi. Questo spiega tante cose.” Detto da uno che poi quando nel 1982 deciderà di chiudere e tornare a casa. Negli Stati Uniti dove dal 1983 al 1994 troverà un sedile nel team di Paul Newman e Carl Haas Formula Cart. Dalla metà degli anni ’90 la sua attività si fa episodica. Cerca soddisfazione, senza trovarla, nella 24ore di Le Mans e in altre competizioni dove, comunque, non sfigura mai. Ma quale pilota, oggi, gli somiglia? “Nessuno!” Mario Andretti, insomma, è un mito anche nelle risposte. Parla di Verstappen ed Hamilton e di una Formula 1 che, tra poco, riabbraccerà “e sarà un nuovo inizio, Per i regolamenti nuovi che cambieranno le macchine. Sarà interessante vedere chi, tra team e ingegneri, arriverà prima ad adattarsi alle novità”.
Chiusura con Luca Salizzoni, per parlare di vini ma anche di motori. “C’è un bicchiere di vino anche per me?” In realtà un assaggio di più vini a cui chiederanno di associare, per ogni sorso, un pilota. Sfida difficile. Ma Le Mans di più.