Domenica, 25 Maggio 2025 - 11:02 Comunicato 1396

La situazione industriale globale e la cooperazione tra Usa, Cina ed Europa

La situazione industriale globale e la cooperazione tra Usa, Cina ed Europa è stato il tema al centro del panel tenutosi stamattina in Sala Depero, nel Palazzo della Provincia di Trento, ospiti Stefania Di Bartolomeo, CEO di Physis Investment, Zhiyi He, esperto dell’Istituto dell'industria globale dell'Università Tsinghua e professore dell'Università di Pechino, Paolo Lazzarini, Chief Strategy & Business Development Officer di Amplifon, Roberta Miraglia, caposervizio della redazione Economia e Politica internazionale del Sole 24 Ore e Lorenzo Stanca, tra i fondatori di Mindful Capital.
Il punto partenza è l’immagine annuale realizzata dal professor Hu sulle aziende leader nel mondo, circa 48. 000, in base alla quale gli attori più forti si confermano nell’ordine USA, Cina e Europa (complessivamente intesa, anche se presa in esame stato per stato). Finora le economie dei principali paesi produttori sono cresciute parallelamente alla crescita dei mercati aperti, e questo si è ulteriormente accentuato dopo l’entrata nella Cina nel WTO, agli inizi degli anni 2000, anche se con l’arrivo di Xi Jinping l’enfasi sull’apertura si è un po’ raffreddato. Gli USA, in virtù del dollaro, moneta di riferimento, hanno sempre soddisfatto una quota importante del mercato interno con le importazioni, mantenendo però una posizione di leadership nei servizi e cedendo quote importanti di debito pubblico ai risparmiatori esterni. Le nuove politiche di Trump impattano in maniera drammatica su questo scenario (in sala è risuonata la parola “oscurantismo”) e sono foriere di recessione. Tuttavia la nuova situazione potrebbe incrementare l’interscambio fra l’Europa e altre aree del mondo, la stessa Cina, ma anche il resto del Sud est asiatico o l’Africa subsahariana.
La situazione industriale globale e la cooperazione tra Usa, Cina ed Europa Nella foto: Zhiyi He, Stefania Di Bartolomeo, Paolo Lazzarini, Lorenzo Stanca, Roberta Miraglia [ Daniele Paternoster Daniele Paternoster - Archivio Ufficio Stampa PAT]

Il professor He censisce dal 2016 circa 48.000 aziende per valutare la “consistenza” industriale dei rispettivi paesi. Ogni anno presenta una relazione aggiornate la piattaforma dell’ONU. “Qualcuno oggi guardando alla nostra ricerca si concentra soprattutto sul G2, il binomio Cina-USA – ha detto - ma la Cina ritiene sia meglio considerare il G3, che comprende anche l’Europa. Nel 2025 si celebra appunto il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche Europa-Cina”. La ricerca utilizza come indicatori il Pil ma anche la presenza di imprese leader in ciascun paese e in 163 settori industriali, quelle che in ciascun contesto hanno un ruolo pionieristici in termini di ricerca & innovazione, con governance robuste e elevati livelli di trasparenza e capitalizzazione. Il numero totale di imprese considerate in Europa è 4913. Sono 4265 negli USA e oltre 10.000 in Cina. Per potenza industriale quindi L’Europa è al terzo posto dopo Stati Uniti e Cina, supera il Giappone, il Canada e l’India.

Stanca, rappresentando un fondo che si concentra soprattutto su pmi esportatrici, ha spostato l’accento sulle piccole-medie imprese (fino a 250 dipendenti), che sono fondamentali nel tessuto industriale italiano.  Se guardiamo il peso totale delle esportazioni vediamo che in Italia le pmi hanno un peso molto più significativo rispetto ad altri paesi, pari a oltre il 50% del totale. Se guardiamo alle esportazioni in Cina di questo complesso di realtà vediamo che sono molto aumentate a partire dal 2000, in seguito all’ingresso della Cina nel WTO. Ci sono stati anche importanti investimenti nel farmaceutico, nella chimica e in altri settori. L’idea di fondo, che oggi viene messa in dubbio, è che l’apertura dei mercati generi benessere per tutti. Con l’arrivo di Xi Jinping la grande apertura cinese comincia un po’ a venire meno. Dal 2012 le aziende italiane hanno avuto maggiori difficoltà ad investire nel mercato cinese. Qualcosa di speculare è avvenuto nei confronti degli USA, dove dopo il 2010 è invece cresciuto l’interesse da parte delle aziende italiane. “Questo fino all’arrivo di Trump, quando una politica oscurantista, basata sui dazi e sulla internalizzazione di tutte le produzioni possibili, ha messo in dubbio la prosecuzione di uno sviluppo basato sul libero scambio”.

Di Bartolomeo opera negli Stati Uniti e in Europa per una realtà che mette assieme finanza e tecnologia. “Fino a gennaio – ha detto – gli USA erano il primo alleato dell’Europa. Quello che sta succedendo adesso quindi è terribile. La narrazione di un’America 'derubata' dal resto del mondo è sbagliata. Negli ultimi 40 anni gli Stati Uniti hanno sempre avuto un disavanzo commerciale, ma questo non è un fattore negativo, perché gli USA hanno sempre avuto una moneta forte, il dollaro. All’America quindi è sempre convenuto acquistare prodotti da altri paesi, inizialmente dal Giappone, poi da Canada e Messico, dove molte aziende americane hanno anche iniziato a produrre. Dopo l’ingresso nel WTO della Cina gli Stati Uniti hanno iniziato a soddisfare la domanda interna anche acquistando beni da questo paese. Ciò per quanto riguarda i beni. Se però guardiamo di servizi esportati il disavanzo americano è negativo, gli USA quindi sono esportatori di servizi. Gli USA inoltre emettono debito, raccogliendo risparmio dalle altre nazioni. Oltre 300 miliardi di risparmi europei transitano in America grazie ai mercati finanziari. Attualmente il 30% del debito americano è in mano a Giappone, Cina e Europa. E il debito pubblico americano continua a crescere, perché l’America dovrà investire in nuova infrastruttura (ad esempio le ferrovie) e nella sanità. Trump sta ‘ricattando’ il mondo con i dazi per spingerlo a continuare ad  acquistare quote di debito pubblico americano. Un altro aspetto da considerare della politica trumpiana è che l'America non è in grado di soddisfare la domanda interna producendo i beni richiesti internamente. Le politiche dell'attuale governo quindi sono destinate a generare inflazione”.

Lazzarini ha portato al festival l’esperienza di Amplifon, un’azienda italiana a forte vocazione internazionale, oggi la n. 1 al mondo nel settore della cura dell’udito, presente in 26 paesi. "Quando siamo entrati in Cina lo abbiamo fatto con molto rispetto, in partnership con un operatore locale. Ora abbiamo centinaia di negozi e di dipendenti nel paese. Il principale mercato al mondo rimane quello americano, con il 40% del totale. Ma la Cina in prospettiva è destinata a crescere. Le tensioni commerciali degli ultimi mesi non hanno ancora impattato sul nostro business". Ci si chiede però se la crisi nei rapporti Europa-USA, comunque allo stato attuale incontestabile, potrà far crescere di riflesso il rapporto Europa-Cina. Nello studio di He ci sono una novantina di settori industriali in cui la UE è più competitiva. In questi campi, dove la presenza di industrie leader è forte, la collaborazione può crescere. In Italia fra gli ambiti considerati vi sono quelli della sanità, delle assicurazioni, dell’energia. Ma anche altre aree del mondo sono cresciute per importanza agli occhi delle aziende italiane esportatrici, ad esempio l’Africa sub-sahariana. Lo stesso vale per l’Estremo Oriente. In ogni caso le decisioni americane anche al netto delle esportazioni rimarranno determinanti. Se certe scelte verranno confermate è possibile attendersi un effetto recessivo globale.

 

(mp)


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