
L’ultimo comma dell’articolo 116 della Costituzione introdotto dalla revisione del 2001 ha aperto alla possibilità di un regionalismo asimmetrico che, accanto alle Regioni speciali e alle Ordinarie, contempli un terzo tipo di Regioni: le Regioni ordinarie possono infatti assumere l’iniziativa di espandere la propria autonomia in taluni ambiti, raggiungendo un’intesa con lo Stato che trasferisca alle stesse competenze e risorse.
Le posizioni al proposito, politiche e tecniche, sono molte e molto diverse tra di loro. Al Nord prevale la tesi che considera l’Autonomia differenziata essenziale per liberare le energie vitali dei territori di cui è ricco il Paese, al tempo stesso responsabilizzandoli. Al centro-sud, invece, prevale la convinzione che sia una manovra egoistica ordita dalle Regioni più ricche, per tenersi “in casa” una quota più consistente delle risorse finanziarie prodotte dalle loro economie. Va precisato che a fare richiesta di maggiore autonomia non sono state solo Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, ma anche Piemonte, Toscana, Liguria, Umbria e Marche.
All'analisi sul tema realizzata nel libro da Flavio Guella si affianca un’esaustiva e completa prefazione di Mauro Marcantoni che analizza gli spazi aperti dall’articolo 116 e le ricadute che questo potrebbe avere sia sul futuro dell’organizzazione del Paese sia su quello delle Province autonome.
“La Trentino School of Management - ha spiegato la direttrice di Tsm Paola Borz in apertura dei lavori - pubblica studi come questo per supportare adeguatamente la sua attività scientifica e di formazione, a servizio della Provincia, della Regione e dell’Università m anche per colmare un vuoto del mercato editoriale. Sul tema del regionalismo differenziato non c’erano ancora studi di questo genere disponibili. Così abbiamo chiesto all’autore di realizzare quest'opera”.
"L'articolo 116 della Costituzione - ha detto poi Marcantoni entrando nel merito - rappresenta un’opportunità che unisce o che spacca l’Italia? Il dibattito è in corso. Abbiamo deciso di offrire qualche spunto di riflessione, partendo da una precisazione: l’Italia è già spaccata, a partire dalla capacità di produrre reddito - le Regioni hanno pil molto differenziati fra loro - e di fornire servizi. Fra Regioni e Regioni ci sono differenze enormi, a prescindere dagli ordinamenti e dalla geografia. A fare la differenza sono le classi dirigenti e la cultura collettiva. E non è che la centralizzazione unisca il Paese. Guardiamo alla scuola, ma anche alla mobilità la ferrovia, all’amministrazione della giustizia e così via. L’unico fattore vero su cui puntare è quindi la cultura collettiva. In questo senso, l’autogoverno previsto dall’articolo 116 può avere un ruolo di stimolo fondamentale. Ad una condizione. Che questo esercizio sia fatto con senso di responsabilità e puntando alla crescita del Paese e non all’accumulo di risorse. Le Autonomie devono saper fare meglio dello Stato.
"Il tema è in agenda fin dalla riforma costituzionale del 2001 - ha sottolineato a sua volta Guella - che ha offerto alle Regioni ordinarie questa possibilità strategica. Le Speciali invece dispongono già della norma di attuazione per attuare le proprie finalità. Su quali risorse le regioni possono contare? L'articolo 119 dice che assieme alle funzioni lo Stato deve trasferire anche le risorse necessarie per esercitarle. Il tutto inoltre nel rispetto degli equilibri di Bilancio dello Stato. All’interno di questo range sono possibili molti modelli attuativi. Ma in ogni caso il regionalismo differenziato può rivelarsi utile anche per il bilancio statale, se viene esercitato con responsabilità e si rivela più virtuoso rispetto ad una gestione centralizzata".
Immagini e interviste a cura dell'ufficio stampa