Martedì, 24 Marzo 2015 - 02:00 Comunicato 683

15 anni di interventi su alcune fra le "macchine da guerra" più significative del territorio
IL RESTAURO DEI FORTI TRENTINI NEL LIBRO DELLA SOPRINTENDENZA

Spazio archeologico sotterraneo SASS gremito di persone, ieri pomeriggio, per la presentazione del volume "Il recupero dei forti austrungarici trentini", curato dalla Soprintendenza provinciale per i Beni culturali. Il libro ripercorre quindici anni di intenso lavoro, da parte della Soprintendenza, per restituire alla comunità trentina la fruizione di un numero considerevole di forti. Al tavolo i curatori dell'opera, Morena Dalle Mule e il soprintendente Sandro Flaim, nonché il provveditore del Museo storico italiano della Guerra di Rovereto Camillo Zadra e la professoressa dell'Università di Trento Alessandra Quendolo.-

Come illustrato dal soprintendente Sandro Flaim, poiché era semplicemente impossibile un recupero totale dell'intero apparato di opere realizzate dall'Impero asburgico lungo i confini del Trentino, si è intervenuti sugli aspetti più significativi, per ricordare quel periodo di fortificazione del territorio, durato mezzo secolo e culminato con lo scoppio del Primo conflitto mondiale. Di fortificazioni come crinale temporale tra l'Ottocento e la società uscita dalla Grande Guerra, ancora viva nella memoria collettiva, ha parlato anche il provveditore del Museo Camillo Zadra.
Il Trentino, posto al centro dell'arco alpino meridionale, è sempre stato uno degli assi principali di comunicazione e transito fra l'Europa centrale e il bacino del Mediterraneo. Per questo il territorio è stato densamente fortificato con opere di sbarramento e di controllo collocate lungo vie e percorsi, sin dalle epoche più antiche, dalle rocche preistoriche ai castra romani, alle chiuse e ai castelli medievali.
Particolare importanza strategica nel contesto europeo, il Trentino lo raggiunge però nel periodo intercorrente tra la seconda metà del XIX secolo e la prima guerra mondiale, nell'ambito dell'Impero austro-ungarico, dopo che con la seconda e terza guerra di indipendenza, gli adiacenti territori della Lombardia (1859) e del Veneto (1866) furono annessi al Regno d'Italia. La prima fase fortificatoria riguardò la realizzazione di forti di prima generazione, molti con funzioni di tagliate stradali: si trattava di opere con murature frontali in pietra, in grado di resistere alle artiglierie che all'epoca utilizzavano proietti sferici, in uso fino ai primi anni del 1860. I forti erano adatti per resistere ad attacchi frontali ma non a bombardamenti dall'alto: in pochi anni i progressi delle artiglierie resero infatti questi forti inadeguati. Intorno al 1880 iniziò una nuova fase fortificatoria: i forti di seconda generazione vennero realizzati sulle sommità di alture e dovevano resistere alle nuove artiglierie attraverso appunto la morfologia del territorio; si trattava di postazioni protette per artiglierie all'aperto, che però divennero obsoleti in breve tempo. I forti di terza generazione vennero realizzati attorno al 1890: avevano spesse muratore in pietra e copertura in calcestruzzo, con gli armamenti principali appostati in casematte corazzate e non più all'aperto. Agli inizi del Novecento si passò alla quarta generazione: si trattava di forti realizzati sotto terra e in roccia, con corazzature in cemento armato rinforzate da putrelle in acciaio e artiglierie in cupole corazzate girevoli. Infine, fra il 1914 e il 1915, vi fu la quinta generazione: forti interamente in roccia, con le sole bocche di fuoco che affioravano in superficie.
Nel volume "Il recupero dei forti austrungarici trentini", in 255 pagine ricche di informazioni e saggi si ripercorrono le vicende storiche e architettoniche delle macchine da guerra del Primo conflitto mondiale: da forte Cadine, il cui intervento di restauro si è concluso con la ricomposizione della forma fortificata della tagliata stradale, al forte Colle delle Benne, posto su un terrazzamento naturale affacciato sul lago di Levico; da forte Pozzacchio, mai ultimato, a forte Dossaccio, nel parco di Paneveggio; da forte Corno, disteso lungo la morfologia del terreno, alla batteria Roncogno situata a passo Cimirlo all'inizio del frequentato percorso di visita del monte Celva; da forte Tenna, che non ha mai partecipato ad azioni belliche, ai forti Presanella, Tonale e Mero, che sbarravano il passo del Tonale; per concludere con la fortezza del Brione, al centro della piana del Sarca, un sistema complesso affacciato sul Garda.
Riprese a cura dell'Ufficio Stampa -



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