Domenica, 12 Ottobre 2025 - 15:33 Comunicato 2966

Häkkinen e Jacques Villeneuve: La Formula 1? "Da noi serviva il manico, ora tanti simulatori di guida e computer"

Al Festival dello Sport di Trento, sotto i riflettori il binomio passione e audacia che unisce generazioni e discipline: dalla pista di Formula 1 alle sfide individuali che plasmano i campioni. In un contesto dove lo sport diventa racconto e mito, due nomi emergono con forza opposta ma complementare: Mika Häkkinen e Jacques Villeneuve. Attraverso le loro storie – di trionfi, rischi e carattere – si racconta non solo lo spettacolo della velocità, ma anche il volto umano che batte dietro il casco. L’occasione è quella dei 75 anni della Formula 1, celebrati a Trento. La morale, anticipata dai due ex campioni, suona così: oggi contano più computer e simulatori, ai nostri tempi contava di più il manico.
Mika Häkkinen, il “Flying Finn”, due volte campione del mondo con la McLaren nel 1998 e nel 1999, resta uno dei simboli della Formula 1 degli anni d’oro: talento puro, controllo glaciale e quella capacità rara di rendere la velocità un gesto elegante. Accanto a lui, un altro nome che evoca una dinastia leggendaria: Jacques Villeneuve, canadese, figlio dell’indimenticato Gilles. Campione del mondo nel 1997 con la Williams, chiuse idealmente il cerchio di una storia familiare segnata dal coraggio. Pilota irrequieto e fuori dagli schemi, ha attraversato la Formula 1 con lo stesso spirito libero che poi lo ha portato alla musica e ai microfoni dei commenti da bordopista.
Nella foto: Arianna Ravelli, Jacques Villeneuve, Mika Hakkinen . [ Nicola Eccher - Archivio Ufficio Stampa PAT]

 «Mia figlia vive la mia stessa passione, corre con i kart», racconta Häkkinen. «Quando vado a vederla mi sale un’ansia terribile: quei kart arrivano anche a 130 all’ora. Io ormai sono troppo vecchio per seguirli dal punto di vista tecnico». Ricorda così anche la sua prima vittoria: «Mi serviva vincere. Avevo avuto molta sfortuna negli anni precedenti. Ho iniziato nel ’91, poi nel ’95 sono stato a lungo in ospedale dopo una frattura al cranio. Da allora, quando ho vinto, ho svoltato: ho ritrovato fiducia in me stesso. Jerez ’97 fu un grande momento. E poi i due titoli con la McLaren, uno dopo l’altro. Oggi quella squadra ha ritrovato energia: tutti sanno cosa fare. Servono qualità e potenza adeguata. I giovani piloti comunicano in modo diverso, ma stanno facendo un lavoro fantastico. Norris e Piastri sono velocissimi, hanno caratteri opposti e questo serve a creare equilibrio nel team. In Formula 1 non si vince da soli. Oggi si lavora molto con i simulatori: un tempo facevamo test infiniti, era tutta un’altra cosa».
Villeneuve, dal canto suo, racconta una visione diversa ma complementare. «Mio figlio si chiama Gilles, come il nonno. Ha la passione dei motori, ma io lo lascio libero: non credo che un bambino debba essere un piccolo professionista. Deve poter fare le proprie esperienze. Non sono d’accordo che il kart debba essere, come oggi, un passaggio obbligato». Sulla sua prima vittoria sorride: «In Germania sono sempre stato solo davanti, non nego di essermi persino annoiato. La 500 Miglia di Indianapolis invece è la storia: mi ha dato una soddisfazione molto più grande. In Formula 1 Schumacher era l’uomo da battere: difficile superarlo, difendeva la posizione con aggressività. Io ho sempre avuto una grande passione per i motori, non solo per la F1: l’importante è divertirsi. Il simulatore? Strumento fantastico, ma non ti fa capire bene i limiti. Il rischio è poi di farti male in pista».
Alla domanda su chi sia oggi il più veloce, Häkkinen e Villeneuve non hanno dubbi: Max Verstappen. «Lui ha un vantaggio», osserva il finlandese, «nessuno nel team gli mette pressione. Non c’è un pilota al suo livello nella Formula 1 di oggi». E sul futuro concordano entrambi: la Formula 1 del 2026 sarà una sfida interessante, ma l’innovazione non deve mai far dimenticare lo spirito che anima questo sport, quello del rischio, del coraggio e, soprattutto, del piacere di guidare.

(gt)


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