
Fare impresa – è stato sottolineato – non può essere considerata una scorciatoia per aumentare il tasso di occupazione femminile. Serve invece un approccio orientato, consapevole e programmato. In Italia, le imprese femminili rappresentano il 22% del totale (circa 1,3 milioni), con oltre 4 milioni e mezzo di occupati e 400 miliardi di fatturato. Ma la maggior parte di queste realtà sono microimprese, spesso concentrate nei settori meno remunerativi – come i servizi alla persona o il commercio – e avviate da giovani donne attratte dagli incentivi, ma senza un’adeguata preparazione imprenditoriale.
“Parlare di imprenditorialità come soluzione al gender gap rischia di essere fuorviante – ha sottolineato Valentina Cardinali –. Servono orientamento, consapevolezza, politiche attive, formazione. Non basta aprire bandi: va fatto un lavoro strutturale, a partire dalla lettura dei fabbisogni del territorio, utile ad orientare le politiche pubbliche e quindi a meglio utilizzare le risorse” ha sottolineato, ricordando come lo sviluppo dei territori passi dalla capacità di mettere a valore il capitale umano che li abita.
In Trentino la quota è ancora più bassa (18,6%), con un’incidenza occupazionale pari all’11,26%.
“Le imprese femminili locali sono poco presenti nei settori a maggiore produttività e innovazione, e si scontrano con difficoltà strutturali come l’accesso al credito, ancora oggi condizionato da pregiudizi sulla solidità finanziaria delle donne - ha spiegato Guerra -. Anche strumenti esistenti come il “Co-manager” – che consente la temporanea sostituzione della titolare d’azienda nei periodi di cura familiare – restano poco utilizzati: nel 2024 solo 9 domande a fronte di 8.600 imprese trentine guidate da donne” ha precisato.
Un altro nodo è quello delle competenze. Molte ragazze esprimono interesse verso l’impresa, ma senza avere piena consapevolezza di cosa significhi gestire un’attività. Per Terlizzi occorre cambiare prospettiva. “Oggi le ragazze hanno sogni, ma poca consapevolezza di cosa significhi fare impresa. Si avverte la mancanza di una vera educazione al concetto di “imprenditività”, necessaria già a partire dalla scuola. E mancano politiche attive capaci di abilitare concretamente alla creazione d’impresa” ha spiegato.
A ciò si sommano fattori culturali e sociali: il tempo medio che le donne dedicano ogni giorno al lavoro di cura è ancora triplo rispetto a quello degli uomini, con effetti che si riflettono non solo sulla possibilità di fare impresa, ma anche su reddito (ricorrenza al part time) e pensione futura. “Anche sui congedi parentali, serve un cambio culturale, perché l’obiettivo deve essere consentire alle madri di restare al lavoro, perché a casa c’è anche il padre” ha aggiunto Terlizzi.
Graziano Rigotti, presidente di Confidi Trentino Imprese, ha ricordato l’impegno congiunto con la Provincia autonoma di Trento per il sostegno all’imprenditoria femminile: “Abbiamo attivato una misura da 500mila euro per agevolare i mutui delle nuove imprese guidate da donne. Finora sono stati erogati circa 370mila euro, restano risorse disponibili. Ad oggi, oltre 1.500 nostre imprese socie sono a conduzione femminile”.