
Prima di innamorarsi della palla a spicchi Dan Peterson era diventato capitano della quadra di baseball alle medie, poi il basket con una carriera segnata da grandissimi successi ma anche di quelle inevitabili difficoltà e delusioni che fanno parte della vita e dello sport.
“A tutti i giovani che sono qui - ha spiegato Dan Peterson - voglio dire che ci sarà un giorno in cui dovrete davvero rischiare qualcosa ma se avete la valigia pronta avrete successo. E’ il consiglio che mi hanno dato quando ero all’università. Mi hanno detto che avrei avuto successo da allenatore se avessi avuto sempre una valigia pronta, cioè dovevo essere pronto a tutto, anche a fallire”.
Nella sua vita Peterson non ha mai aspettato come è accaduto quando è partito subito per il Cile ad allenare durante il periodo di Allende: “Per fortuna - ha raccontato - sono andato via 11 giorni prima della rivoluzione del 1973 e anche quando ho ricevuto la proposta di venire in Italia sono partito subito. Il Cile mi ha preparato a venire in Italia, mi ha fatto fare quattro cose: ho imparato a vivere fuori dagli Stati Uniti e per molti americani è difficile. Parlavo uno spagnolo scolastico ma l’ho dovuto perfezionare e dopo imparare l’italiano è stato facile e ho dovuto imparare cos’è il basket internazionale e allenare giocatori molto più vecchi del solito”.
Dal pubblico non è mancata una domanda sulla sua Olimpia Milano e su chi fosse stato il giocatore che ha meglio interpretato lo sport come palestra di vita. Nella risposta Dan Peterson ha citato tre figure uniche che hanno segnato il basket in Italia: “Mike D’Antoni che ha vinto due volte il premio come miglior allenatore Nba. Poi Vittorio Gallinari che giocava a basket e studiava alla Bocconi: ci ha messo 8 anni per prendere la laurea, con grandissima dedizione e ora è agente sportivo e manager. E poi come non citare Dino Meneghin che dello spirito di squadra è stato un esempio, era un collante, aveva le qualità di uomo-squadra davvero eccezionali”.