Nello studio, che consolida le analisi prodotte dal gruppo di studio a partire dal febbraio 2020, sono stati analizzati retrospettivamente i dati epidemiologici di SARS-CoV-2 in regione Lombardia ed è stato anche valutato l’andamento della trasmissibilità (Rt) fino al 9 marzo 2020.
Questi alcuni dei risultati principali:
Più di 500 pazienti positivi per SARS-CoV-2, con un’età mediana di 69 anni, hanno dichiarato una data di inizio sintomi antecedente la notifica del paziente 1 (20 febbraio 2020). A quella data il virus SARS-CoV-2 circolava già in almeno 222 dei 1506 comuni lombardi (14.7%). Il numero di riproduzione (R0) nelle 12 provincie della Lombardia è stato stimato a valori compresi tra 2.6 a Pavia e 3.3 a Milano e Brescia. L’intervallo seriale, che approssima il tempo che passa tra una generazione e l’altra di casi, è stato stimato a 6.6 giorni in media. Questo implica che il tempo di raddoppio dei casi era molto inferiore ad una settimana.
Questi risultati suggeriscono che la rapida crescita di pazienti affetti da COVID-19 che ha causato pressione sul sistema sanitario lombardo nel periodo immediatamente successivo all’identificazione del paziente 1 è da attribuire alla alta trasmissibilità del virus e alla diffusa e silente trasmissione del patogeno avvenuta fra gennaio e metà febbraio.
Una diminuzione, anche marcata, della trasmissibilità (Rt) di SARS-CoV-2 è stata osservata in tutte le provincie della Lombardia nel periodo successivo all’identificazione del paziente 1, dovuta probabilmente alla crescente preoccupazione nella popolazione e alla progressiva introduzione di misure restrittive di controllo. Rt è però rimasto strettamente maggiore di 1 fino al 9 marzo 2020 in tutte le provincie tranne a Lodi, dove l’istituzione della zona rossa nell’area di Codogno ha giocato probabilmente un ruolo chiave nel controllo dell’epidemia facendo calare Rt a valori di circa 1 prima dell’istituzione del lockdown nazionale.
Comunicato stampa FBK/Università Bocconi