Domenica, 02 Giugno 2019 - 14:33 Comunicato 1332

La grande recessione del 2008 e l’illusione della piena occupazione

Il mondo del lavoro ha subito un radicale cambiamento dopo la grande crisi del 2008: una rottura degli schemi che né le Banche Centrali dei Paesi Occidentali, né la maggior parte dei politici pare ancora saper cogliere nelle sue reali ripercussioni. E’ questo il cuore dell’analisi di David G. Blanchflower, ex Senior Fellow del Peterson Institute for International Economics, fatta questa mattina al Festival, ed introdotta da Luca De Biase direttore di “Nova”, supplemento de “Il Sole 24 Ore”. Il mondo vorrebbe “buoni lavori”, scrive Blanchflower nel suo nuovo libro “Not Working. Where Have All the Good Jobs Gone?”, appena uscito per la Princeton University Press, ma questi, soprattutto per i giovani e per chi ha un basso livello d’istruzione, sono quasi scomparsi trasformandosi in lavori malpagati che non fanno altro che generare ansia e un alto malcontento sociale.

Secondo Blanchflower non ci sono giustificazioni per quanto accaduto nel 2008: “Prima della Grande Depressione del 1929 non avevamo mai vissuto qualcosa di così grave dal punto di vista economico globale ma invece nel 2008, memori di quanto successo, gli economisti avevano tutti gli strumenti per capire e in qualche modo prevenire quello che stava accadendo ma ciò nonostante non sono riusciti ad interpretare la gravità dei processi in atto”. Un errore di prospettiva che si ripete anche oggi da parte di chi sostiene, specie negli Stati Uniti, che vi sia una piena occupazione: “Il mercato del lavoro - ha sottolineato Blanchflower - nelle maggiori economie occidentali, Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna ma anche in Italia e Francia in realtà è caratterizzato dal fenomeno della sottoccupazione che è ben diversa dalla disoccupazione. Si tratta di piccoli lavori, poco pagati, di quella che mi piace definire come una vera e propria “l’economia dei lavoretti”. La sottoccupazione di fatto blocca ogni aumento dei salari, mettendoli sotto pressione, aumentando la povertà di chi ha questo genere di occupazione e il malcontento di vasti strati della popolazione”.
Anche se i dati parlano di un calo della disoccupazione in molti Paesi, questo non coincide quindi né con un miglioramento della qualità del lavoro, né con l’aumento dei salari e crea nella gente ansia, depressione e incertezza nel futuro: “Il segnale di questa inquietudine - ha concluso l’economista britannico - si trova molto spesso nel voto per i movimenti populisti. I ceti che stanno peggio, che hanno più paura del futuro, hanno votato per Donald Trump negli Stati Uniti, per la Brexit in Gran Bretagna e per la Le Pen in Francia, seguendo in molti casi facili promesse elettorali”. Blanchflower non ha nascosto la sua preoccupazione per le prospettive del mercato del lavoro: “Oggi i politici e i maggiori economisti non si rendono conto della situazione, così come è successo nel 2008, e questo rischia di avere gravi ripercussioni sulla coesione sociale di molti Paesi”.



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