Sabato, 01 Giugno 2019 - 19:52 Comunicato 1309

La democrazia a rischio

Come muoiono le democrazie? Lentamente. Cedendo spicchi di autorevolezza e con la complicità di testimoni indifferenti, i cittadini. Nella terza giornata del Festival dell’Economia Daniel Ziblatt, docente di scienze politiche ad Harvard e Sergio Fabbrini, politologo della Luiss, hanno conversato su «La democrazia a rischio». Partendo da Trump per arrivare all’Italia, passando per l’Ungheria di Orbán. Per Sergio Fabbrini, che ha insegnato a lungo a Trento, «la democrazie esiste finché c’è un rapporto di rispetto con la verità». Da Oltreoceano, in videocollegamento, Ziblatt è convinto che Trump possa rivincere le elezioni nel 2020 e che l’anticorpo migliore alle derive autoritarie sia rappresentato dalla struttura federale americana. Il cambiamento geopolitico, con l’ascesa della Cina può indebolire le democrazie, ma solo se c’è già una vulnerabilità interna. «Se i conservatori europei si “orbanizzano” o l’Europa si trumpizza, non abbiamo più i guardiani al cancello e la democrazia è davvero a rischio». L’Europa rischia di rimanere un’espressione geografica e non più politica.

«Serve uno sforzo collettivo per riportare in alto la reputazione dell’Italia. Più che gli immigrati, devono allarmarci i tanti giovani che lasciano il paese. Bloccato dal corporativismo. Se un presidente di regione nomina i primari ospedalieri, c’è un problema».  Sergio Fabbrini ha incluso anche l’Italia nel ragionamento sui pericoli vissuti dalle democrazie in questo momento d’oro per i populismi, i sovranismi e le derive autoritarie. «Dobbiamo parlare di sovranismo – ha chiarito Fabbrini – perché nessun paese oggi punta sul nazionalismo che prelude all’abbandono dell’Unione Europea. Semplicemente si vuole svuotarla dall’interno». Tenere in seno alle grandi famiglie politiche europee partiti autoritari è un rischio: succede nel Partito popolare europeo con Fidesz dell’ungherese Orbán; tra i socialdemocratici con i parlamentari del partito democratico rumeno, ma anche tra i liberaldemocratici (con il partito della Rep. Ceca). Le elezioni europee del 26 maggio ci hanno consegnato i due fulcri dell’europeismo (entrambi tedeschi), molto indeboliti: Spd e Cdu. In compenso, inaspettatamente, verdi e liberal-democratici sono cresciuti vistosamente. «Cdu e socialdemocratici tedeschi – ha evidenziato Fabbrini – sono rimasti prigionieri di uno schema molto conservatore». Daniel Ziblatt è convinto che le élite liberali abbiano consegnato a neoliberisti populisti lo scettro e la democrazia è stata investita da un’onda autoritaria. Per Fabbrini l’allarme è concreto: «Chi mette in discussione l’Europa mette in realtà in discussione anche i bilanciamenti della democrazia. Aprendo la strada alla tirannia della maggioranza. La democrazia liberale non è perfetta, è frutto di compromessi, ma va preservata. Devono vigilare istituzioni e cittadini. Altrimenti l’erosione è lenta ma progressiva». «Negli Stati Uniti – ha aggiunto Ziblatt – sono stati i conservatori a difendere la democrazia. La grande abdicazione dei repubblicani ha portato all’elezione di Trump. Oggi i partiti fanno fatica a frenare gli outsider, a tener fuori i demagoghi. L’autoritarismo è per definizione “infedele” ai valori basilari della democrazia. Che differenze ci sono fra Trump e i populismi europei? Trump viola con meno ritrosia le norme democratiche e ha una retorica più aggressiva. Europa e Stati Uniti sono legati da un richiamo nostalgico a un passato che non c’è mai stato. Dove ci sono meno migranti c’è maggiore sostegno ai populisti. Questo ci dice che i populismi nascono dalla paura».

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