Sabato, 01 Giugno 2019 - 15:58 Comunicato 1291

Trade wars. Come cambia il commercio mondiale

Commercio, politica, geostrategie. A confrontarsi economisti, esperti di politica internazionale e un rappresentante del governo italiano. In sala Depero è andato in scena il forum dedicato a «Trade wars», le guerre commerciali, a cominciare dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina. Moderati da Massimo Gaggi, giornalista del Corriere della Sera, inviato negli Stati Uniti, sono intervenuti Andrea Fracasso, direttore della Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento, Daniel Gros, economista tedesco a Bruxelles, Alessia Amighini, responsabile del Centro studi asiatici dell’Ispi, Michele Geraci, professore per dieci anni in università cinesi e sottosegretario allo Sviluppo economico, Alberto Viano, imprenditore, Marta Dassù, direttrice dell’Aspen Institute.
I dazi possono essere utili? Sono una strategia vincente sul breve o lungo periodo? È in atto una guerra commerciale oppure no? O, addirittura, la guerra commerciale nasconde un più ampio conflitto geopolitico e tecnologico? Al forum hanno assistito anche l’assessore provinciale allo sviluppo economico Achille Spinelli e il dirigente del Servizio Attività internazionali della Provincia Autonoma di Trento, Raffaele Farella.

Tecnologia e politica hanno cambiato in questi ultimi anni il mondo del commercio globale. La premessa è stata di Andrea Fracasso, dell’Università di Trento. Molti paesi già inseriti nella catena del commercio mondiale ne hanno risentito; altri emergenti ne hanno tratto vantaggio. Il presidente statunitense Donald Trump – ha ricordato Fracasso – imputa alla Cina manipolazioni del cambio, aiuti di stato, estorsione e furti di tecnologia estera, discriminazione all’attività di aziende americane in Cina, minacce alla sicurezza nazionale. «La risposta unilaterale – ha spiegato Fracasso – da parte degli Usa è consistita in una politica di dazi alle importazioni cinesi e blocchi agli investimenti cinesi negli Stati Uniti». Ma come possono cambiare gli scenari mondiali? Fracasso non prevede scenari isolazionistici, ma la nascita di blocchi «regionali»: l’Unione Europea è già uno di questi. «Il tentativo americano di frenare la Cina – ha proseguito Daniel Gros, economista del Centre for European Policy Studies di Bruxelles – è destinato al fallimento. All’Europa conviene tenere un profilo basso. Meglio puntare su ricerca e sviluppo che su ambizioni di potere geopolitico. Se due stati come Usa e Cina mettono tra loro delle barriere, gli altri sono destinati a beneficiarne».
Meno ottimistica la visione del sottosegretario Michele Geraci: «I dazi aiutano i deboli e redistribuiscono il reddito. L’Italia non può mettere dazi. È casomai compito dell’Ue. Il problema è che quanto a promozione del commercio e dei prodotti, tra i 28 membri dell’Unione c’è una concorrenza spietata. Noi dobbiamo promuovere il made in Italy: nell’ultimo anno il nostro export è cresciuto del 25% in Giappone e Svizzera, dell’11% in India. Anche dire “Prima l’Europa” in un certo senso è sovranismo. Anche l’Ue, con solo il 5% della popolazione mondiale, non fa massa critica. Diciamo no a acquisizioni predatorie nel nostro paese». Per Alessia Amighini dell’Ispi, esperta di mercati asiatici, i dazi sono uno strumento vetusto. Gli elettori di Trump saranno disposti a pagare di più i prodotti cinesi importati? Basta l’aver riportato alcuni posti di lavoro negli Usa? L’incertezza dei dazi è un problema. Gli Stati Uniti dalla Cina importano soprattutto componenti, più che prodotti finiti».
«Agli Usa interessa solo impedire che la Cina li soppianti» è l’opinione di Marta Dassù, direttrice dell’Aspen Institute. Non è solo una guerra commerciale, ma tecnologica e strategica. Gli Stati Uniti chiedono all’Europa da che parte sta. L’Ue sarà inevitabilmente costretta a schierarsi tra Usa e Cina». «Per noi imprenditori questo è un clima di guerra commerciale. Soprattutto perché i dazi imposti da Trump sono guidati solo dalla volontà di fare un danno ai vicini».



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