Sabato, 01 Giugno 2019 - 13:32 Comunicato 1279

L’economia imperfetta

Un incontro con tre docenti di economia che parlano di economia al Festival dell’Economia avrebbe potuto essere un appuntamento autoreferenziale e lontano dalla gente. Pericolo scongiurato, però, perché si discuteva del libro-provocazione di Francesco Saraceno “La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall'economia”. La Biblioteca comunale di Trento oggi si è affollata di giovani e meno giovani che hanno seguito con interesse il momento.

L’incontro con l'autore” (a cura di Luiss) ha visto protagonista Francesco Saraceno, vicedirettore di dipartimento all’OFCE, il centro di ricerca sulle congiunture economiche di Sciences Po (Parigi). A discutere con lui del suo libro sono stati Floriana Cerniglia (Università Cattolica di Milano) e Fausto Panunzi (Università Bocconi di Milano), coordinati da Tonia Mastrobuoni (giornalista de “la Repubblica”). Si partiva da alcune questioni di fondo: lo studio della storia economica può aiutare leader politici a evitare errori già commessi in passato? Perché la politica monetaria non è riuscita a farci uscire dalla crisi? Qual è il ruolo degli economisti e la loro influenza? “La scienza inutile” ripercorre la storia del moderno pensiero economico, dalla Grande depressione alle crisi del sistema bancario. Il libro racconta una serie di interventi sbagliati a livello politico e istituzionale, corsi e ricorsi. Riferisce di una scienza macroeconomica che non tiene conto di quello che è successo, che non sa adattarsi alla realtà e che quindi può essere salutare se entra in crisi.
Stimolato da chi sta al tavolo con lui, Saraceno precisa che il suo non è un libro di storia del pensiero, né un manuale, ma un libro di teoria economica. Descrive l’economia come un fiume carsico in cui le idee dominano per un periodo e poi possono scomparire e riemergere successivamente. Incoraggia ad approfondire le questioni nella loro complessità. Nessuna pretesa di essere esaustivo, ma l’obiettivo di analizzare in modo neutrale l’interazione tra Stato e mercato, senza dare lezioni: «Che fare? Io non lo so». In realtà qualche indicazione la fornisce. A chi sostiene che non esistono vincoli all’azione del governo, risponde che non è vero. Per lui è legittimo che lo Stato provi a stimolare l’economia, può essere utile anche nel lungo periodo perché si fa crescere capitale, rimane il fatto che se non si riesce a mobilitare le risorse avremo solo aumento dei prezzi e non riusciremo a fare crescere l’economia. «Io non sono a favore dell’austerità» dichiara. Esprime preoccupazione per la perdita di coerenza del sistema e per lo smantellamento del welfare. Si definisce molto keynesiano, sostiene l’influenza degli economisti sulla politica e il ruolo di primo piano delle idee e dice che una nuova Europa è possibile se si ha l’umiltà di riconoscere l’imperfezione del mercato e l’imperfezione dell’azione di governo. Perché, come sosteneva Keynes, nessuna istituzione è perfetta.

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(eb)


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