
Un economista, un tributarista e un giornalista specializzato in innovazione a spiegare alla platea del Festival dell’Economia di Trento cos’è la cosiddetta web tax. Massimo Sideri, direttore del Corriere Innovazione, parla di un ginepraio fiscale. I grandi gruppi multinazionali del web (definiti ”over the top”) rischiano di diventare “over the tax” ha rimarcato Sideri. Bisognerebbe spiegare che non si vuole tassare il web, ma gli utili delle società come Google, Facebook, Amazon, che immaterialmente fanno utili in paesi nei quali non hanno spesso nessuna sede fisica. Nodo cruciale, per il tributarista (docente al Master Bocconi) Tommaso Di Tanno, è la definizione del concetto di “stabile organizzazione”. La Commissione europea lo scorso marzo ha emanato una direttiva “Interim digital service tax”, sulla quale i singoli Stati devono pronunciarsi entro il 2019 e che dovrebbe entrare in vigore nel 2020. Prevede che le aziende digitali con oltre 750 milioni di fatturato nel mondo e almeno 50 in Europa paghino le tasse anche dove fanno utili grazie all’interazione degli utenti, sebbene prive di un’anima stabile organizzazione in quel paese. Si calcola che aziende di questo tipo siano circa 120 nel mondo, delle quali 25 europee. Non è quindi una legge anti americana, chiosa Di Tanno. Giampaolo Galli, esperto in scienza delle finanze, è stato parlamentare nella legislatura da poco conclusa. “Non ho votato, come il mio partito, il Pd, la web tax, perché la ritengo una forma di protezionismo. È una tassa indiretta, quindi grava sui consumatori, Infine, essendo incapace di tassare gli utili, spesso non dichiarati, si concentra sui fatturati”.