Venerdì, 04 Giugno 2021 - 13:10 Comunicato 1380

Verso un’Agenda per la salute

I sistemi sanitari europei sono stati messi fortemente sotto pressione dalla pandemia. Ripensarli è necessario se la Ue vorrà dirsi ancora l’area “più sana del mondo”. In Italia, la sfida è la costruzione di un nuovo modello integrato, tra prossimità e telemedicina, Stato e Regioni, pubblico e privato. Serve, in altre parole, un’Agenda per la salute. Ne hanno parlato, per i Forum del Festival, Ilaria Capua, che dirige il Centro di Eccellenza One Health all’Università della Florida, Sabina Nuti, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Walter Ricciardi, docente alla Cattolica di Roma e consigliere del Ministro della Salute, Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo RBM Salute, Gilberto Turati, docente di Scienza delle Finanze alla Cattolica di Roma, e Paola Pica, giornalista del Corriere della Sera.

Chi deve prendere decisioni in tema di salute? Il modello gestionale dev’essere accentrato o decentrato? E quale ruolo dovrà avere il privato, nella produzione dei servizi socio-sanitari e nel loro finanziamento? Sono temi – ha detto Turati – declinati in Italia soprattutto in termini di un confronto-scontro fra Stato e Regioni. Ma la stessa Unione Europea ha un ruolo sempre più pervasivo. Senza dimenticare il ruolo dell’Organizzazione mondiale della sanità, soprattutto quando si tratta di gestire emergenze globali, o se preferiamo profilassi globali. In termini generali, ci sono decisioni che vanno assunte a livello “macro”, ad esempio quelle che riguardano le campagne vaccinali. La governance, la gestione delle decisioni assunte ad un livello più alto, invece, può chiamare in causa realtà locali. Decentrare può generare infatti benefici sia sul piano dell’efficacia degli interventi sia sulla loro economicità. Perché ciò avvenga, è necessario però investire sul territorio, sui medici di medicina generale, sulla cooperazione fra tutti gli attori, anche fuori dall’ospedale.

Sul ruolo del privato ha parlato Vecchietti, soffermandosi sugli aspetti assicurativi. In Italia, il settore muove 140 miliardi di euro. L’Italia è al 22esimo posto, fra i paesi europei, nelle coperture per danni, con soli 33 miliardi investiti dai risparmiatori, mentre è all’ottavo posto nel settore vita. Di quei 33 miliardi, inoltre, solo una quota molto piccola è impiegata nell’assicurazione sanitaria.  Insomma, manca una cultura della copertura sanitaria aggiuntiva, da affiancare a quella offerta dall’ente pubblico. Manca persino un raccordo fra il mondo dell’assicurazione e quello della sanità pubblica, a differenza di quanto avviene in UK o in Francia, dove l’integrazione fra i due “mondi” è un elemento pienamente operante all’interno del welfare complessivo.

L’ospedale, di cui ha parlato Ricciardi, è un altro pilastro fondamentale del sistema sanitario. Il sistema, in Italia, è molto diseguale. Abbiamo da un lato punte di eccellenza, dall’altro strutture fatiscenti. Un altro problema è rappresentato dalla messa in rete dei big data. In Italia, dove la sanità è regionalizzata, abbiamo 21 sistemi informatici diversi, che non si parlano, al punto che chi inizia il percorso vaccinale in una Regione e poi si trasferisce in un’altra, non si porta con sé i suoi dati vaccinali.

Di Regioni ha parlato anche  Nuti. Certo, c’è bisogno di un governo centrale delle operazioni quando vi è una emergenza pandemica da gestire, un punto di riferimento chiaro, capace di prendere le decisioni a cui anche le realtà locali devono attenersi. Senza dimenticare però che non sempre la centralizzazione è garanzia di buoni risultati. La sanità ha alti costi fissi, difficilmente comprimibili (oltre ai risparmio già effettuati in passato). Questi costi non possono essere recuperati in un secondo momento come si possono recuperare costi in una linea di produzione. In generale il sistema sanitario italiano è caratterizzato da forti rigidità, e semmai è qui che si potrebbe intervenire.

Rigidità che invece non hanno caratterizzato ad esempio il comportamento dei più giovani, ha detto Capua: la Next Generation sta rispondendo positivamente all’appello alle vaccinazioni, forse anche per ragioni strumentali, cioè perché vaccinazione fa rima con maggiori libertà. Il futuro, però, non è molto incoraggiante: una nuova pandemia prima o poi è destinata ad arrivare, è sicuro, perché il passaggio di virus dall’animale all’uomo è un fenomeno “normale”, e la globalizzazione ci mette il resto. Ma un’altra pandemia così come quella che abbiamo affrontato con il Covid-19 non possiamo permettercela. Dobbiamo pertanto utilizzare la potente energia trasformazionale che la pandemia porta con sé per costruire un futuro diverso. Certo, è difficile farlo se chi governa alcuni degli Stati "di punta" nel mondo sconfessa l'operato della scienza e dei medici, come è avvenuto nei mesi scorsi. Alle pandemie, in primo luogo, bisogna crederci. Ci sono poi snodi anche tecnologici importanti da sciogliere. Non è possibile pensare a campagne vaccinali a livello mondiale affidate ai frigoriferi, alla “catena del freddo”. Bisogna investire di più e meglio, nella scienza, nella governance dei sistemi sanitari, nell’accessibilità alle cure – non solo ai vaccini - da parte di tutti,  per essere pronti ad affrontare le sfide che abbiamo certamente di fronte.

(mp)


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