Sabato, 01 Giugno 2019 - 13:11 Comunicato 1277

Una "Bergamo" all'anno: ecco quanto perde ogni anno l'Italia per la "fuga dei cervelli"

Ogni anno, dal 2008 e dall'inizio della crisi, è come se l'Italia perdesse una città immaginaria delle dimensioni di Bergamo, ma fatta solo di "cervelli", di giovani altamente qualificati. Sono questi, i risultati delle ricerche condotte da Massimo Anelli, docente dell'Università Bocconi, e esposti al Festival dell'Economia, in termini di perdita di capitale umano. Ma economicamente, a quanto equivale, quella città persa? La stima si aggira, per la ricercatrice Silvia Merler, attorno ai 43 miliardi di euro.

Una Bergamo all'anno, o 2300 italiani a settimana. Questa è la perdita di capitale umano, a causa dei flussi migratori dal'Italia verso l'estero e in particolare verso i Paesi a nord dell'Unione Europea. Ad andarsene, secondo quel fenomeno che ha preso nel tempo il nome di "fuga dei cervelli", i giovani, ma soprattutto i giovani qualificati, con una o più lauree. "L'aumento, per l'Italia, di questi flussi di emigrazione, è cominciato un po' in ritardo rispetto ad altre realtà, nel 2012" - spiega Silvia Merler, ricercatrice di Algebris - "ma mediamente chi lascia il Paese è più istruito di chi resta: il 40% dei cosiddetti "movers" infatti dichiara di essere laureato con 110 e lode". Prima, chiara conseguenza: la perdita di "skills", di capacità. "In particolare a risentirne è il settore scientifico-tecnologico, il che ci rende impreparati alle sfide del futuro" - prosegue Merler. E mentre chi sa, se ne va, in Italia il 50% dei giovani disoccupati raggiunge il lungo periodo, ovvero resta senza lavoro per ben oltre 12 mesi. Nel frattempo, poi, si rinforzano le disuguaglianze sociali: "Siamo penultimi tra i Paesi Osce per quanto riguarda il riconoscimento economico degli studi" - continua la ricercatrice - "il che vuol dire che non attribuiamo ai laureati stipendi più alti rispetto ai diplomati. Se a questo, si aggiunge il fatto che solo il 6% di chi è figlio di genitori non diplomati, raggiunge la laurea, il risultato è l'immobilità sociale". E dal punto di vista politico? "I movers si presentano, secondo i sondaggi, più liberali e progressisti, mentre chi resta è negativo in materia di UE, che associa alla disoccupazione, nonché a favore di impedire l'immigrazione, anche dei suoi connazionali" - illustra ancora Merler, mentre il professor Massimo Anelli aggiunge - "l'emigrazione rallenta anche il cambiamento politico delle realtà più piccole, dei Comuni: laddove troviamo forte spinta verso l'estero, infatti, troviamo anche sindaci più anziani, consiglieri comunali non laureati e pochi consiglieri donne". Ultimo fattore, non meno trascurabile, conclude il docente della Bocconi, "è l'invecchiamento della popolazione che resta. Il che poi, in economia, vuol dire anche meno imprese: si stima che siano circa 10 ogni 1000 emigrati, le aziende che non verranno mai fondate".
Se forse sperare di contrastare o invertire il flusso è quasi un'utopia, una nota più positiva la porta lorenzo Maternini, vicepresidente di Talent Garden: "L'unico modo per uscirne è fare qualcosa, qui e ora, e intendo proprio avere materialmente voglia di costruire. La differenza rispetto al passato è solo che dobbiamo fare "in rete", in connessione tra città italiane e con il resto del mondo. Oggi non si è bresciani, non si è lombardi, non si è italiani". Dal canto suo, lo Stato, dovrebbe invece per Silvia Merler, "sistematizzare gli incentivi fiscali al rientro, riconosce i titoli di studio esteri, e molte altre di queste piccole cose concrete che però possono fare la differenza".

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