Mercoledì, 19 Gennaio 2022 - 15:22 Comunicato 128

Oggi l’incontro con il sopravvissuto di Auschwitz-Birkenau nell’ambito di Living Memory, alla presenza del presidente Maurizio Fugatti
Un’infanzia dietro il filo spinato, la testimonianza di Bogdan Bartnikowski

10 agosto 1944. In un vagone di un treno merci che da Varsavia va verso Auschwitz, tra i tanti prigionieri polacchi requisiti dai nazisti alle loro case, alle famiglie, alla vita “di prima” verso un destino di morte o di prigionia, c’è anche l’adolescente Bogdan, oggi novantenne, testimone di quei tragici fatti.
“In quel treno”, dice con chiarezza in collegamento dal Teatro Sociale nel primo dei cinque appuntamenti di Living Memory dedicati ai sopravvissuti, “eravamo già schiavi": Bogdan Bartnikowski, giornalista e scrittore è uno dei pochi ancora in grado di portare in viva voce al mondo la sua testimonianza sull’universo dei campi di concentramento e di sterminio. Continua a raccontarlo perché crede nel valore della testimonianza individuale e storica e l’ha fatto anche stamattina, in collegamento con una sessantina di scuole trentine, a cui se ne sono aggiunte altre da Puglia e Piemonte per un totale di circa 4.500 studenti. Sul palco del Sociale, assieme al direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino Giuseppe Ferrandi era presente il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, che ha voluto ricordare come sia necessario, soprattutto per i giovani, avere memoria di quei fatti: “Dobbiamo avere la coscienza dell'importanza di queste testimonianze. Con iniziative come questa vogliamo ringraziare e rappresentare coloro che ancora oggi portano il loro ricordo dei campi di concentramento. Ho visitato personalmente Auschwitz nel 2019 assieme a tanti giovani trentini in un percorso della memoria e so quanto sia difficile ricordare, ma è necessario farlo”. Il presidente ha voluto anche rivolgere una domanda a Bartnikowski, per comprendere meglio il valore delle sue parole, tenendo conto che anche dopo tanti anni ricordare quei tragici fatti che hanno segnato tutta una vita, possa ancora suscitare tristezza e dolore.
Un momento dell'incontro al Teatro Sociale con Bogdan Bartnikowski, sopravvissuto di Auschwitz (sullo schermo). Da sinistra il presidente Maurizio Fugatti, Denise Rocca di Living Memory e il direttore della FMST Giuseppe Ferrandi [ Archivio Ufficio Stampa PAT, CC BY SA 4.0]

“Per me e per tutti i miei coetanei di allora non è possibile dimenticare”, ha risposto Bogdan. “Soprattutto il momento dell'imprigionamento, il fatto di essere cacciati via da casa, l’essere privati della cura dei genitori, della vita che avevamo: questo ci ha sicuramente segnato per tutta la vita. I ricordi di quei giorni sono vivi e ritornano, nei sogni, negli incubi, ma anche nella vita quotidiana, basta un'associazione di pensiero, una parola sentita per caso. Come ha detto una mia amica di prigionia, 'di Auschwitz ci libereremo solo nel momento della morte, lo porteremo con noi tutta la vita'. Questo è vero anche per me: anche io ‘sono rimasto’ ad Auschwitz”. “Siamo gli ultimi testimoni della storia, ha continuato Bartnikowski, e dobbiamo ricordare. Avevo 12 anni, vedevo il fumo uscire dalle ciminiere e temevo di finire anche io lì: questo non si dimentica. Tanti mi chiedono come noi sopravvissuti abbiamo potuto mantenere la forza d’animo per non cedere: abbiamo mantenuto sempre la speranza di poter uscire dal campo”.                                                                                                                    

Bartnikowski ha poi ricordato, come ha fatto nei suoi libri, fra i quali quello dal titolo “Un’infanzia dietro al filo spinato", in modo toccante, crudo e allo stesso tempo poetico, che la speranza, la fede, il sogno di rivedere i propri cari o ritornare a casa prevaleva sempre sulla disumanità del campo di sterminio. Nonostante le vessazioni, le botte, il cibo al limite della sopravvivenza, la separazione dalla madre, che rincontrerà qualche mese dopo l’arrivo a Birkenau, in una giornata memorabile per il giovane Bogdan, quando potè riabbracciarla e scoprire che era ancora viva.

Nel corso dell’incontro Giuseppe Ferrandi ha parlato del rapporto tra conoscenza, storia e le forme dell’impegno: “Crediamo che leggendo e imparando la storia questa automaticamente si trasformi in un patrimonio di atteggiamenti, comportamenti e funzioni: più storia conosci, più consapevolezza hai del passato, più riesci a vivere il presente in modo appropriato. In realtà è necessario cercare nuovi strumenti affinché il rapporto tra storia e memoria si traduca in una crescita di cittadinanza e in un vocabolario capace di rinnovare la partecipazione e l’impegno: abbiamo tutti bisogno, soprattutto in questo nostro tempo, di ricercare le ragioni del bene comune e di come far pesare la volontà collettiva. Queste iniziative ci aiutano a trarre dalla storia forme e motivazioni per l’impegno. È questa l’arma segreta di Living Memory: rigenerare il modo di essere cittadini, avere un rapporto solido e critico con la storia, che cambia a seconda dello sguardo che le dedichiamo”.

(sil.me)


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