Mercoledì, 12 Giugno 2013 - 02:00 Comunicato 1729

Lo spettacolo teatrale è frutto di un progetto dell'IPRASE che intreccia teatro, musica e arte
"ULISSE E IL VELO": DETENUTI ATTORI VANNO IN SCENA NEL CARCERE DI TRENTO

Il teatro come esperienza per crescere, come operazione catartica per migliorare, come opportunità per riflettere sui propri errori, ma anche come valvola di sfogo per far volare i sogni, le speranze, la voglia di "tornare a casa". È andato in scena ieri nel primo pomeriggio, nel teatro della Casa Circondariale di Trento, lo spettacolo teatrale "Ulisse e il velo", messo in scena da sedici detenuti guidati da un'equipe affiatata di esperti messi a disposizione del progetto dall'IPRASE, dall'Associazione "Il gioco degli Specchi", dal Centro Servizi Volontariato e con la collaborazione di Quadrivium. Si tratta di Amedeo Savoia per la drammaturgia e la regia; Nicola Straffelini per la musica, Emilio Picone per la scenografia, Francesco Rubino per la documentazione audiovideo, Luigi Sansoni per l'assistenza tecnica. La messa in scena ha avuto un'ottima cornice di pubblico: il teatro del carcere degli Spini di Gardolo era completamente esaurito in tutti gli ordini di posti tra ospiti esterni, guidati da Beatrice de Gerloni e Marco Tomasi del Dipartimento della Conoscenza della Provincia autonoma di Trento, e ospiti "interni" che hanno applaudito, cantato in coro, incitato e accompagnato gli attori sul palco dall'inizio alla fine. Naturalmente con i consueti "bis" chiamati a scena aperta.-

Ulisse, il celebre eroe omerico che probabilmente gran parte dei detenuti-attori nemmeno conosceva, dopo la breve e felice parentesi dell'incontro con la ninfa Calipso, lascia l'isola ospitale e riprende il mare con una zattera per ritornare finalmente nella sua Itaca. Dopo un viaggio tranquillo di alcuni giorni, il suo acerrimo nemico Poseidone, il cui figlio Polifemo è stato accecato da Ulisse, si mette di traverso e cercando vendetta scatena una furibonda tempesta. L'eroe cade dalla zattera, finisce in mare e sta per naufragare miseramente, quando interviene una divinità amica che gli dona un velo: l'invisibilità provvisoria consente a Ulisse di aver salva la vita, di scampare da morte certa e di sfuggire dalla vendetta del dio furioso.
Da questo piccolo episodio del quinto libro dell'Odissea, uno tra i cento e cento che arricchiscono la storia omerica del ritorno a casa di Ulisse, eroe della guerra di Troia, nasce e prende vita il laboratorio di teatro, musica, artigianato e arte che da marzo a giugno di quest'anno ha coinvolto a cadenza settimanale una ventina di detenuti della Casa Circondariale di Trento. È stato partendo da quella lontana storia a metà tra mito e leggenda, in cui si narra della voglia di Ulisse di tornare nella tranquillità della casa da cui manca ormai da vent'anni, che i giovani attori – gran parte dei quali di provenienza straniera, algerina, tunisina, albanese... – ci hanno aggiunto le loro esperienze di vita fatte di sogni infranti, di naufragi nel mare della criminalità, di coincidenze che si son messe di traverso, di veli per l'invisibilità provvisoria che tardano a presentarsi. "Ho capito qua, troppo tardi, che la libertà è la cosa più importante che abbiamo... Libertà che manca solo qua, che si desidera qua!" ha cantato in puro stile rap uno degli attori con una ripetitività ossessiva e ossessionante trascinando nel suo grido tutti i detenuti sul palco e in platea: "Libertà che manca solo qua, che si desidera qua!"
"Il nostro non è uno spettacolo teatrale con tutti i crismi classici e canonici" ha avvertito Amedeo Savoia nell'introdurre "Ulisse e il velo". "Non abbiamo avuto il tempo sufficiente per affinare soprattutto i passaggi da una sequenza all'altra: chiamiamola allora una prova generale aperta. Vi renderete conto però che anche così, anche in questi ambienti di sofferenza il teatro, la musica, la danza hanno consentito di far emergere alcuni veri talenti. Non eravamo venuti qui nelle vesti di talent scout, non era quello il nostro scopo, ma comunque ne siamo tutti orgogliosi". Intanto dietro di lui i vari Mokdad, Angelo, Maher, Jawad, Dahbi, Bilal, Issam, Mahdi, Diop, Aziz, Said, Zidi, Simone, Fari, Adem, Ghanmi scalpitavano per dare il via alla recita.
È stata un'ora di musiche che si sono intrecciate da oriente a occidente, di danze tribali con movenze hip hop e breakdance, di testi rap cantati in arabo e in napoletano, di brani letti in un italiano claudicante e proprio per questo ancora più coinvolgente ed emozionante: esperienze di vita, naufragi simbolici ma anche traversate vere, reali, vissute sulla propria pelle dalle coste tunisine fino alle agognate spiagge di Lampedusa, in tanti viaggi che tutti chiamano "della speranza", ma che in realtà si traducono in un ingresso agli inferi dei centri di prima accoglienza, con Poseidone che ti controlla dall'alto delle imbarcazioni della Guardia Costiera, oppure con la dea invisibile vestita da pescatore che ti afferra per i capelli e ti tira a bordo salvandoti per il momento la vita.
Tutto lo spettacolo teatrale è ruotato attorno a un tamburo di terracotta: "Questo l'ho costruito io con le mie mani – ha raccontato uno degli attori, un giovane algerino, – e anche l'argilla italiana non è dura come quella africana, è più molle, è più tenera, il suono però, alla fine, è sempre lo stesso!" Un tamburo per guidare la danza e tornare almeno con la memoria ai villaggi lasciati da bimbi; un tamburo che è arte delle mani, è patrimonio di esperienze concrete passato di generazione in generazione, di mano in mano ed è giunto fino alla Casa Circondariale di Trento per guidare un pentimento profondo, non solo a parole: "Qui in carcere si sta male – ha detto un altro detenuto, – voglio tornare a casa da mia moglie e dai miei due figli, voglio trovarmi un lavoro, voglio diventare saldatore e vivere onestamente. Soprattutto non voglio sbagliare più".
Ma che teatro sarebbe se non ci fosse un "colpo di scena"? Quando tutto pareva chiuso, quando gli applausi interminabili dopo l'ultimo bis stavano scemando, quando gli ospiti esterni si stavano alzando per salutare e andarsene, loro sì per tornare a casa, Domenico Gorla, il comandante degli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Trento, ha chiesto il silenzio in sala per fare un annuncio: "Ho il piacere di comunicare agli utenti della Casa Circondariale che tra di loro c'è un nuovo Ulisse... Proprio qualche minuto fa è giunta la comunicazione di una scarcerazione. Uno di voi uscirà di qui prima di sera!" Insomma, un novello Ulisse che magari se l'aspettava, o forse no, tornerà a casa: non sappiamo se è tra i diciassette che hanno recitato o tra i centocinquanta che hanno applaudito, ma un Ulisse potrà tornare alla sua Itaca, riabbracciare la sua Penelope e i suoi Telemaco. La vita per fortuna prima o poi in qualche modo ricomincia, per tutti. Anche in carcere.
(m.n.) -