Domenica, 30 Aprile 2017 - 12:17 Comunicato 995

Una disciplina sportiva sempre più trendy anche sugli scaffali delle librerie
Trento Film Festival: "Corsa in montagna, che passione"

A Palazzo Lodron le confessioni di 2 runner d'alta quota tra estasi, fatica e bellezza

La corsa in montagna ha sempre più appassionati. E ne “risentono” anche le librerie. A palazzo Lodron sono state presentate dai loro autori, che hanno dialogato con il professor Amedeo Savoia, due di queste testimonianze, entrambe pubblicate da “Ediciclo”. “Confessioni di un runner d’alta quota. Sull’ebbrezza della corsa in montagna” è la riflessione del trentino Dario Pedrotti, ingegnere “pentito”, come si definisce. “L’estasi della corsa selvaggia. Piccoli voli a corpo libero dalla terra al sogno” è invece il titolo del libro del lombardo Franco Michieli.

Michieli, geografo, esploratore e scrittore, in gioventù mezzofondista, ha iniziato a correre nel corso del servizio militare, in valle d’Aosta, “durante la libera uscita, per riscattarmi da giornate passate in ufficio, da un periodo non certo dei migliori. Volevo salire, correndo, il Gran Paradiso”. E non ha più smesso. Ha attraversato a piedi terre selvagge e catene montuose, dall’Islanda alla Norvegia fino alle Ande. “Correndo – afferma – ci si avvicina all’estasi, c’è come una dilatazione del tempo. E si prova la gioia di correre in mezzo alla natura”. Diverso l’approccio di Dario Pedrotti, un passato da giocatore di basket, la cui prima riflessione fu: “La corsa in montagna mi sembrava solo fatica fine a sé stessa. Poi ho provato e da lì in poi ho continuato, competizione dopo competizione”. Galeotta la foto che “impressionava” una gara e che l’ha folgorato. Approcci diversi quelli dei due runner. Più meditativo e riflessivo quello di Michieli, maggiormente agonistico per Pedrotti che, con ironia, sottolinea: “Sono di quelli che alle gare arriva tra gli ultimi dei migliori o tra i primi dei più scarsi”. E aggiunge, rispondendo a Michieli: “La corsa in montagna non è sempre estasi. Certo, correre da soli sarà anche più bello ma in compagnia si fa meno fatica”. “Per me correre – replica Michieli – vuole dire ricercare intimità e momenti onirici”. Scrive Pedrotti: “La corsa in montagna dà indubbiamente dipendenza, però fa sicuramente molto meglio degli antidepressivi e, probabilmente, anche della tv”. A proposito del “poter correre”, Michieli annota: “E’ un dono. Sparire da un luogo per ricomparire in un altro, in un diverso mondo, poco dopo, col corpo; perdere il senso del tempo, volare. Rompere i ritmi comuni per entrare in quelli di un vento, di un condor, di un puma. Nella corsa selvaggia la fretta sa scomparire, il tempo interiore rallenta, dura quel che serve alle gambe per condurre fino al sogno. Si sveglia in me un’anima dimenticata, ancestrale”.       



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