Venerdì, 01 Giugno 2018 - 20:25 Comunicato 1275

Tassare il web e pretendere servizi migliori: la strada per una maggiore equità

Perché scendiamo in piazza per pagare meno tasse e invece non protestiamo con la stessa forza per avere migliori servizi? Perché non pretendiamo servizi di buona qualità diffusi e per tutti? L’incontro “Politiche per l’equità” che il Festival dell’Economia di Trento ha proposto oggi al Castello del Buonconsiglio, partendo dall’analisi degli effetti dell’automazione, è riuscito a toccare alcune delle domande che stanno alla base del rapporto che i cittadini hanno con l’economia, con la politica e soprattutto con l’equilibrio tasse-servizi.

L’incontro, moderato dal vicedirettore del Fatto Quotidiano, Stefano Feltri, si è aperto con un’ampia riflessione storica di Giovanni Dosi, economista alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «L’umanità potrà liberarsi dalla schiavitù del lavoro alienante: è davvero possibile? Quali effetti avrà la robotizzazione sull’impiego e sulle disuguaglianze? L’automazione cresce al pari della produzione di massa: fino alla fine degli anni Settanta abbiamo vissuto il trentennio più florido del capitalismo. Da allora abbiamo assistito a un processo di deindustrializzazione dall’Occidente verso la Cina, con un’accelerazione negli ultimi 15 anni. Gli effetti sono la stagnazione o il calo dei salari, il declino della quota di manifatturiero e dei salari (per la prima volta) sul prodotto nazionale lordo, il calo del reddito mediano, l’esplosione dei profitti soprattutto finanziari, il decino nella sindacalizzazione dei settori, del tasso di entrata di nuove imprese e quello di creazione di nuovi posti di lavoro. Queste tendenze hanno molto a che fare con i mutamenti tecnologici di oggi, perchè tendono ad accentuarle. Non sostituiscono più solo il lavoro materiale routinario, ma anche quello intellettuale. Gli effetti di lungo periodo si hanno sulla distribuzione del reddito e sulle condizioni di lavoro».

«Oggi siamo arrivati a una fase di pre-organizzazione del lavoro, ma digitale, che in realtà intrappola le persone» ha aggiunto Dosi. «Si comincia con condizioni di lavoro decenti, ma in questo “Taylorismo digitale” - fatto di parcellizzazione del lavoro e ripetizione di task eseguiti da robot - si scende rapidamente fino a non riconoscere neppure il rapporto di lavoro dipendente. Dobbiamo proteggere il nostro sistema di welfare e impedire un’ulteriore deindustrializzazione, almeno a livello europeo. Dobbiamo tassare massicciamente il web». Un riferimento è stato fatto al pensiero dell’economista ed ex ministro Padoa Schioppa e alle sue tesi sulle tasse.

Perché negli anni ’50 e ’60 il progresso tecnico ha migliorato la distribuzione del reddito e invece questo dagli anni ‘70 non sta avvenendo? «Gli economisti sono divisi su questo», ha commentato Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Università di Trento e del Fondo italiano SGR. «La grossa differenza è stato il tasso di crescita: dal 5-7% l’anno in termini reali. In quegli anni la tecnologia aveva distrutto molti posti di lavoro. Il crollo dell’occupazione ha interessato soprattutto l’agricoltura, ma l’occupazione si è spostata nelle città, nelle industrie. Non un “miracolo economico”, perché definirlo così significa che non ci abbiamo creduto davvero. Piuttosto una politica di salari che seguivano la produttività e la costruzione di strutture di protezione sociale in grado di ridurre l’accentuarsi dei fenomeni di povertà. Negli ultimi anni questo atteggiamento si è invertito, ci siamo rassegnati, forse convinti che il livello di reddito massimo fosse già stato raggiunto. Un circuito vizioso di bassa produttività forzato dalle nuove tecnologie».

«Ogni sistema economico ha il suo sistema di intervento: per gli Stati Uniti si agisce con la riduzione delle tasse, il sistema fiscale. Da noi invece è la spesa pubblica che redistribuisce il reddito, attraverso l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la pensione» ha aggiunto Cipolletta. Queste voci ammontano a circa il 72% della spesa pubblica, quella che determina l’equità di un paese. Sui servizi collettivi, che si pagano con le tasse, si deve scommettere. Le tasse sono come un biglietto d’ingresso per accedere e avere diritto a servizi collettivi. Devono essere pagate da tutti, soprattutto dal ceto medio alto, in modo progressivo con una base certa. E lavorare sulla lotta all’evasione attraverso la tracciabilità dei pagamenti per alimentare una capacità di imposizione più equa».

 

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