Sabato, 05 Giugno 2021 - 13:41 Comunicato 1417

Stato o mercato? A far decollare la politica industriale sarà il terzo elemento, l’Europa

Sono tutti concordi, Innocenzo Cipolletta, Andrea Goldstein, Alessandra Lanza, Pietro Modiano e Valeria Negri, nell’idea che tra i due contendenti della partita economica futura, Stato e mercato, il solo in grado di concertare le azioni e promuovere una politica industriale in direzione della sostenibilità e della digitalizzazione sarà l’Europa. «E’ una sfida non da poco – chiarisce Modiano -: significa tornare all’UE dei padri fondatori», ma anche, al contempo, come dichiara Lanza, «comprendere che la transizione non si può fare che insieme, nonostante i 27 punti di vista differenti, e in nome della riduzione delle disuguaglianze».

E’ un percorso che dalla Cina, torna in Europa e si chiude in Italia, quello che i cinque relatori dell’evento curato da GEI intraprendono, a partire da un semplice quesito: occorre più Stato o più mercato per far decollare una politica industriale europea? Un percorso che finisce per avere come filo conduttore, l’idea che, molto prima e molto più del ruolo di “calciatore” o “arbitro” dello Stato, a contare sia la presenza attiva e coordinante dell’Europa. «L’UE nasce allo scopo di fare politica industriale attiva, si pensi all’Euratom e alla Ceca – afferma in apertura Pietro Modiano, economista d’impresa, già direttore Unicredit, Intesa San Paolo e presidente Gruppo SEA -, ovvero per “fare” in specifici settori che meritavano un’attenzione strategica. Successivamente abbiamo assistito a una fase ordoliberista, che poneva l’enfasi quasi esclusivamente sulla tutela del mercato interno e del rispetto della normativa antitrust.
La pandemia ha dato via alla transizione, o meglio, ne ha accelerato i tempi, facendoci comprendere che abbiamo necessità di un cambiamento radicale degli assetti». A modificare il panorama internazionale, infatti, sarebbe, tanto per Modiano, quanto per Goldstein, la Cina: «Si tratta del Paese in cui lo Stato è ad oggi più presente a livello economico – spiega Andrea Goldstein, economista OCSE – e in cui, negli ultimi 10 anni, con Xi Jinping, questo rapporto si è rafforzato ulteriormente, andando, di recente, a seguito della pandemia, in direzione di una politica futura di “circuito interno”, meno basata sulle esportazioni. Questo – continua – per l’Europa si traduce in vulnerabilità.
E per farvi fronte si può solo agire in direzione di controlli sugli investimenti e sulla partecipazione delle imprese cinesi, senza però cadere nel protezionismo, nonché della ricostruzione della capacità produttiva dei settori sensibili». Ma quali sono? A rispondere ci pensa Alessandra Lanza, partner di Prometeia: «Sono i settori legati a utilities, ai servizi, alla tutela e sicurezza dei cittadini; sono settori che dobbiamo individuare con un criterio valoriale, correndo però sempre lungo di due binari principali: la sostenibilità e la digitalizzazione (quest’ultima in direzione di una riduzione delle disuguaglianze)». Eppure, prosegue, «non nascondo che questo mi suscita anche molte preoccupazioni, legate al fatto che siamo 27 Stati profondamente diversi, ma che poi potranno compiere una transizione solo unitamente, solo insieme, attraverso una politica comune».
Uno scetticismo che permea anche il breve intervento di Innocenzo Cipolletta, presidente Febaf, Assonime e AIFI: «Un esempio come le compagnie aeree, col loro sovrannumero nazionale a cui l’Europa non ha mai posto rimedio, neppure ora, in fase pandemica, mi lascia dei dubbi sulla capacità di agire unitamente. Ma forse si tratterà solo di un ritardo e avrò modo di ricredermi. Ciò che sarà importante, ad ogni modo, sarà fissare degli obiettivi e dare i finanziamenti a seconda di quegli stessi obiettivi». Un sostegno che, tuttavia, come conclude Valeria Negri, direttore Centro Studi Assolombarda, riportando il discorso in un’ottica nazionale, «dovrà essere in grado di arginare le disuguaglianze oggi in atto tra aree territoriali simili (si pensi ad esempio al fatto che la Lombardia ha ridotto nel 2020 il numero di disoccupati, diventati inattivi, mentre zone come la Baviera o la Catalunya no), spingendo, al contrario, in direzione di convergenze fra territori. Il capitale umano non può essere trascurato dalle nuove politiche industriali. La sfida a cui si trova davanti l’Europa, è immensa».

(kd)


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