Sabato, 04 Giugno 2016 - 21:00 Comunicato 1218

Sostegno alle startup: “L’Italia trovi un suo modello, mettendo in rete le eccellenze”

Tra i luoghi della crescita non potevano mancare acceleratori e incubatori: motori di crescita economica, fucina di future imprese, ambienti che creano virtuosi cortocircuiti tra quanti si trovano sulla frontiera dell'innovazione. La tavola rotonda “Acceleratori e incubatori di impresa: nuovi motori di mobilità sociale”, introdotta da Innocenzo Cipolletta e moderata da Anna Gervasoni, ha presentato il variegato ventaglio dell’offerta ad oggi disponibile in Italia: dagli acceleratori privati, come Digital Magic di Marco Gay, agli incubatori pubblici come quelli di Trentino Sviluppo, raccontati da Mauro Casotto, agli incubatori universitari quali Polihub di Milano, spiegato dal presidente Giampio Bracchi, fino al variegato mondo dei finanziatori privati come L Venture Capital, al Festival dell’Economia di Trento con il suo amministratore delegato Luigi Capello. Fenomeni di nicchia? Tutt’altro, come dimostrano i numeri d’eccezione del Trentino: le 110 aziende insediate nei sei incubatori danno lavoro a 750 persone, generano un fatturato di 380 milioni di euro; messe tutte assieme sarebbero la terza industria del territorio per fatturato, la quinta per numero di occupati.

“Altro che quattro ragazzi in un garage – ha detto Marco Gay, presidente Giovani Imprenditori di Confindustria e vicepresidente Digital Magics - in Italia abbiamo 5.300 startup innovative con 23 mila addetti”.
Un patrimonio che merita di essere valorizzato quale volano della crescita economica e dell’innovazione. “In Italia ci sono 4 mila miliardi di euro di risparmio privato, riuscissimo a trasferire anche l’1% di queste somme in innovazione ed economia reale, unendo i diversi puntini sparsi sul territorio e scatenando un po’ di questa finanza, potremmo veramente diventare la culla dell’innovazione in Europa”, ha sottolineato Gay.
“Proteggiamo il made in Italy ma non il research in Italy – ha rilanciato Giampio Bracchi, presidente di Polihub e della Fondazione Politecnico di Milano – e questo frena il potenziale della ricerca che si fa a livello diffuso nelle università italiane. Ma le università devono capire che gli uffici brevetti e gli incubatori vanno gestiti con criteri di mercato, spogliandosi del desiderio di ciascun ateneo di possedere tali strutture e liberandole dal fiato sul collo delle gerarchie accademiche”.
“Nel 2012 l’Italia – ha ricordato Luigi Capello, amministratore delegato L Venture Capital – è stato il primo paese ha darsi una legislazione sul private equity eppure un modello troppo ingessato ha fatto partire meno di 10 operazioni. Dobbiamo dotarci di strumenti veloci, perché la rapidità fa la differenza nel successo di una startup sul mercato”.
Fatta la diagnosi, sulla terapia si è registrata una sostanziale convergenza di vedute tra Innocenzo Cipolletta, presidente del Fondo Italiano d’Investimento SGR e presidente dell'Università degli Studi di Trento ed Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI (l’Associazione italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e docente all’Università Cattaneo. “E’ ora che l’Italia trovi un suo modello di sostegno alle startup, che metta a fattor comune le esperienze e le eccellenze già espresse del territorio, riuscendo così a portare a terra, trasformandolo in business, in iniziative economiche, in economia reale, il grande potenziale di innovazione insito nelle università e nei centri di ricerca del nostro Paese”.