Lo studio appena pubblicato e presentato oggi al Festival dell’Economia mette in evidenza come una buona parte della popolazione si dichiari "socialmente responsabile" e attribuisca un peso importante all'impatto che le proprie scelte di consumo e di investimento possono avere sugli altri e, più in generale, sull'ambiente, la salute, la sostenibilità. L'analisi dei tre economisti, tra cui la prof.ssa Eleonora Broccardo dell'Università di Trento insieme al prof. Zingales e al premio Nobel Oliver Hart considera in particolare la lotta all'inquinamento ambientale e cerca di capire come le azioni di boicottaggio e disinvestimento si ripercuotono sulle aziende. Un’evidenza empirica molto interessante da studiare e che porta con sé alcuni aspetti sorprendenti.
Ci si chiede allora se boicottare i prodotti o le azioni di un'azienda poco rispettosa dei valori ambientali o sociali sia davvero la scelta migliore per farsi ascoltare?
«Le azioni di boicottaggio messe in atto dai consumatori e dagli azionisti in realtà non sono in realtà così efficacia come si crede» - ha spiegato Eleonora Broccardo. «Ma il boicottaggio e il disinvestimento agiscono sui prezzi delle merci o delle azioni. La riduzione dei prezzi innesca un meccanismo che stimola la domanda di consumatori e azionisti che si sentono meno toccati dal comportamento dell'azienda. Quindi, di fatto, l'intervento di questi azionisti con minori scrupoli agisce come contrappeso all'azione di azionisti/consumatori socialmente più responsabili».
«Il tema è di grande attualità perché tocca da vicino la sensibilità di molte persone, in tutto il mondo. Basti pensare che nel 2020 ben il 38% dei cittadini americani ha boicottato sistematicamente almeno un’azienda. E nel 2019, circa 20 miliardi di dollari di investimenti sono stati indirizzati verso fondi che escludono le società “non sostenibili”: un volume superiore di ben 10 volte quello di un decennio prima (fonte: CBInsights, 2020)” - ha commentato il prof. Hart, che dal 1993 insegna all'Università di Harvard».
In che modo allora gli azionisti possono innescare i processi virtuosi delle aziende? Ci sono due strategie possibili: quella definita di "exit" (disinvestimento e boicottaggio) e quella definita di "voice" (impegno) nel promuovere risultati socialmente desiderabili nelle aziende che generano esternalità negative.
Ma sono veramente efficaci? Dopo una serie di analisi ed esempi, lo studio dimostra che se la maggioranza degli investitori è socialmente responsabile, “la voce” raggiunge il risultato socialmente desiderabile, mentre “l'exit” non lo fa. Se invece la maggioranza degli investitori è puramente egoista, “l'uscita” è una strategia più efficace, ma nessuna delle due strategie raggiunge in generale il risultato migliore.
In particolare, viene evidenziato il ruolo fondamentale che hanno tanti piccoli azionisti che sostengono le politiche green e socialmente responsabili di un'azienda. Il loro apporto fa davvero la differenza.
Le analisi inducono a riflettere sul ruolo che le azioni di comunicazione e informazione condotte per raccogliere il supporto di tanti piccoli azionisti in temi green e di sostenibilità siano un’ottima leva per consolidare e ampliare l’appoggio degli investitori, trasmettere le loro preferenze alle società in cui sono investiti i loro soldi e poter fare la differenza.
L’articolo
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Political Economy, con il titolo “Exit vs. voice”. Autrici e autori sono: Eleonora Broccardo (Università di Trento), Oliver Hart (Harvard University), Luigi Zingales (University of Chicago).
L’articolo è disponibile al link
https://www.journals.uchicago.edu/doi/abs/10.1086/720516