Lunedì, 02 Giugno 2014 - 02:00 Comunicato 1365

SENZA IMPRESA CIVILE NON CI PUÒ ESSERE FUTURO

Dall'incontro "Il ruolo dell'imprenditore civile nella costruzione del bene comune: la lezione di Adriano Olivetti", proposto stamani dalla Cooperazione Trentina in collaborazione con la Scuola di economia civile, emerge la figura dell'imprenditore civile, in grado di fare impresa, portare vera innovazione e far rinascere il Paese.-

"Senza imprese civili non c'è futuro. Possiamo trascinarci stancamente per alcuni anni, ma il declino sarà inevitabile". È stata questa la provocazione lanciata da Stefano Zamagni, docente dell'Università di Bologna, nel corso dell'incontro "Il ruolo dell'imprenditore civile nella costruzione del bene comune: la lezione di Adriano Olivetti". Insieme a lui, a fare chiarezza sul significato di impresa civile, Luigino Bruni, dell'Università Lumsa di Roma, mentre a introdurre è stata chiamata Silvia Vacca, presidente della Scuola di economia civile.
"L'imprenditore civile è innanzitutto un imprenditore" ha precisato Bruni, sottolineando come valori e motivazioni non possano prendere il posto delle competenze. Come ogni imprenditore, l'imprenditore civile è un innovatore, sa convivere con situazioni di forte incertezza e riesce ad anticipare i bisogni. "Ma, oltre a questo, l'imprenditore civile deve essere capace di grandi innovazioni, cosiddette 'di crinale', che nascono da chi si trova, per vocazione, sui crinali delle montagne, e da lì vede aprirsi nuovi orizzonti. Inoltre – ha proseguito Bruni, - deve agire spinto dalla gratuità, intesa non come il gratis, ma come serendipity, ovvero la capacità di trovare il valore intrinseco delle cose, e l'exaptation, dimensione che lascia spazio alla creatività e alla capacità di guardare lontano".
Infine, l'imprenditore civile descritto da Bruni dev'essere un costruttore di comunità, capace di ascoltare, di definire patti, oltre che contratti, con i propri lavoratori e di usare incentivi e premi.
Ma il modello di impresa civile è un modello sostenibile? Non finché il modello imperante era quello taylorista, secondo Zamagni, per il quale oggi i tempi sono cambiati e c'è bisogno di un nuovo modello organizzativo. Un modello che permetta alle conoscenze tacite, cioè quelle che non possono essere trasmesse formalmente, di emergere. Un modello che contrapponga al coordinamento tecnico, attuabile anche in presenza di automi, un coordinamento strategico, che tenga conto delle peculiarità e delle diverse motivazioni di ogni lavoratore. Un modello che non promuova la competizione individuale, dalla quale emerge una singola persona abbassando la produttività del gruppo. "Il principio base di un'organizzazione – ha affermato Zamagni - è la cooperazione, non la competizione. La competizione si esercita nel mercato, non nell'impresa".
Un'impresa civile è un'impresa che fa tesoro di questi punti. Ed è un elemento fondamentale per il futuro della nostra società. "Oggi abbiamo creato una sottocultura a livello sociale, per cui chi pratica la virtù deve quasi vergognarsi, nascondersi perché teme il giudizio negativo degli altri. Ci sono imprese civili di vario tipo che vengono definite alternative, marginali, mentre tutto lo spazio viene dato a chi pratica il vizio.
O cambiamo la nostra matrice culturale o non ci saremo più" ha aggiunto Zamagni, che ha concluso però aprendo all'ottimismo. "L'Italia è l'unico Paese al mondo che negli ultimi mille anni è risorto quattro volte: con la rivoluzione commerciale nell'undicesimo secolo, l'umanesimo del quindicesimo secolo, il risorgimento nel diciannovesimo secolo, e il miracolo economico del secondo dopoguerra. Oggi siamo a un altro punto di svolta e possiamo avere la nostra quinta grande rinascita".

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