Sabato, 04 Giugno 2016 - 17:05 Comunicato 1196

A Detroit chi se la passa peggio vive in media 6 anni in meno che a New York
Raj Chetti: “Cresce il divario nell’aspettativa di vita tra ricchi e poveri. Ma non tutti i poveri sono uguali"

“Negli Stati Uniti, se vincessimo la lotta al tumore, l’aspettativa di vita della popolazione aumenterebbe di 3,2 anni. Eppure pochi danno peso al fatto che se sei un maschio che appartiene all’1% più ricco della popolazione vivi mediamente quasi 15 anni in più rispetto all’1% più povero”. Lo ha evidenziato, con la forza dei dati, Raj Chetty, 36 anni, docente di economia alla Stanford University, premiato dall’American Economic Association come miglior economista americano sotto i quarant’anni. Introdotto da Luisa Grion, giornalista de “la Repubblica”, il professor Chetty al Festival dell’Economia ha parlato di “Cosa allunga la vita: geografia, reddito e longevità negli Stati Uniti”. Con importanti indicazioni anche per l’Italia: “Con ricerche analoghe – ha detto – anche voi potreste arrivare a capire in quali città si vive più a lungo e quali sono i centri più a rischio, potendo così intervenire con politiche pubbliche adeguate”.

L’analisi compiuta dal team di ricerca guidato da Raj Chetty sulle aspettative di vita dell’intera popolazione americana degli ultimi 15 anni, dal 1999 al 2014 – forte di oltre 1,4 miliardi di osservazioni – lascia pochi dubbi. Il divario nell’aspettativa di vita fra ricchi e poveri negli Stati Uniti è molto consistente ma soprattutto sta crescendo in modo esponenziale.
“Se sei un uomo e appartieni all’1% più ricco della popolazione – ha evidenziato Raj Chetty – hai un’aspettativa di vita che arriva a 87,3 anni, se invece appartieni all’1% più povero ti fermi a 72,7 anni. La differenza quindi è quindi pari a 14,6 anni”.
Simile, anche se più contenuto, il divario per quanto riguarda le donne: 88,9 anni l’aspettativa media di vita delle appartenenti all’1% più ricco, appena 78,8 anni per le donne più povere, con differenza quindi di poco superiore ai 10 anni. Prima evidenza alla quale arriva la ricerca condotta da Chetty: “Le donne sembrano essere più resistenti davanti alla povertà di quanto lo siano gli uomini”.
Analizzando poi i dati in serie storica, si nota come il divario tra l’aspettativa di vita dei ricchi e quella dei poveri sia cresciuto negli ultimi 15 anni: mentre i redditi più alti hanno migliorato la propria aspettativa di ben 3 anni dal 1999 ad oggi, per le fasce di reddito più povere l’aspettativa di vita è cresciuta di appena lo 0,8 per cento.
Ma è nell’analisi dei dati relativi ai vari stati, contee e singole città che l’elaborazione della grande mole di dati statistici condotta da Raj Chetty porta a risultati più interessanti. Mentre per i ricchi, le persone con il redito più alto, non conta il luogo di residenza, per i poveri sì: vivere in città relativamente ricche e con alta spesa pubblica allunga la vita, mentre la vita in zone rurali la riduce.
Si scopre quindi, ad esempio, che i poveri che vivono in città quali New York o San Francisco, vivono mediamente 6 anni in più rispetto a persone appartenenti alla stessa fascia di reddito residenti in centri urbani quali Detroit o Las Vegas.
Cosa possono fare quindi le politiche abitative e sanitarie per allungare la vita di chi ha redditi più bassi? Raj Chetty ha ribadito di non avere la ricetta in tasca ma di poter indicare una pista di lavoro: “Non chiediamoci cosa possiamo fare in generale per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei poveri in uno stato, chiediamoci invece cosa possiamo fare per migliorarla in quella specifica città, in quello specifico contesto territoriale”.
La ricerca ha infatti dimostrato che nelle città che presentano le politiche pubbliche più efficaci per quanto riguarda ad esempio la lotta al tabagismo, all’obesità, ad uno stile di vita sedentario, ad un’alimentazione scorretta, anche le categorie a più basso reddito, cioè i molto poveri, ne beneficiano sia direttamente che indirettamente. (d.m.)

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