Sabato, 30 Maggio 2015 - 02:00 Comunicato 1284

Uguaglianza globale contro disuguaglianze nazionali: la soluzione è un compromesso
RODRIK: "SE SFIDUCIAMO LA GLOBALIZZAZIONE APRIAMO LA STRADA AI POPULISMI"

Troppa globalizzazione finanziaria, troppo poca per quanto riguarda la mobilità del lavoro. Per Dani Rodrik, per la seconda volta al Festival, la "globalizzazione intelligente" (titolo del suo ultimo libro, edito da Laterza, 2015) non solo è possibile ma, come è intuibile, sta nel mezzo ed è il frutto di un compromesso tra due estremi.-

L'analisi di Rodrik – intervenuto al Festival sul tema "Uguaglianza globale contro disuguaglianze nazionali", – parte dal "paradosso" degli Stati nazionali che, mantenendo in essere i confini e attuando meccanismi che consentono il funzionamento dei mercati, sono al tempo stesso motore di prosperità economica interna e causa di disuguaglianza globale. Un paradosso, avverte subito Rodrik, difficile da risolvere, così come niente affatto facile è stato per il pubblico accorso a Palazzo Geremia per ascoltarlo, rispondere alla domanda se sia più preferibile essere ricchi in uno Stato povero, o poveri in uno stato ricco. "La risposta giusta è che non è possibile fare un confronto, giacché in un contesto di diseguale distribuzione del reddito, ciò che conta sono le differenze tra paese e paese più che le differenze interne. E sono differenze che dalla rivoluzione industriale in poi sono cresciute fino a diventare enormi, fino a disegnare un mondo diviso tra zone ricche e povere. La forza motrice che determina le disuguaglianze globali – continua Rodrik – è basata sulle differenze tra le diverse regioni del mondo. Si tratta però di una disuguaglianza che i tassi di crescita stanno riducendo. La Cina, ad esempio, ha portato centinaia di milioni di persone verso il ceto medio, e questo grazie alla globalizzazione che ha consentito un enorme aumento delle esportazioni".
La globalizzazione non ha però inciso solo sulla mobilità delle merci ma anche, attraverso una mitigazione delle barriere, su quella delle persone. Teoricamente, argomenta Rodrik, è possibile che i lavoratori che si spostano da un paese all'altro trovino condizioni migliori e possano godere degli stessi standard dei lavoratori locali, ma il punto è che dobbiamo definire "quanti" lavoratori possiamo far entrare senza rischiare di ridurre la coerenza interna di un Paese, sapendo comunque non è possibile definire un livello ottimale. "Per avere uno Stato nazione efficace dobbiamo dunque porre dei limiti?" si chiede Rodrik. "Abbiamo bisogno di un minimo comun denominatore, un'eccessiva eterogeneità è negativa per il mantenimento della fiducia sociale, che richiede una rete di sicurezza condivisa".
L'esempio portato da Rodrik è ancora una volta la Cina "che ha cavalcato la globalizzazione senza aver fatto cadere tutte le barriere, ha aperto la finestra mettendo la zanzariera, una globalizzazione gestita dunque: il miglior esempio che ci fa capire come esistono argomenti a favore di una maggiore mobilità del lavoro, ma anche altri a favore di limiti alla mobilità, ed è proprio qui che va cercato il compromesso". Ma attenzione: "La Cina è un esempio, non un modello da seguire". Infine, l'ultimo avvertimento: "Se miniamo la fiducia nella globalizzazione, impediremo una gestione oculata della stessa, aprendo la strada ai populismi; dobbiamo concentrare le nostre energie sui problemi reali, ma siamo purtroppo ancora molto lontani".
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