Venerdì, 01 Giugno 2018 - 13:27 Comunicato 1236

Produttività: la ricetta di Bugamelli

La produttività? Non dipende dalla quantità degli ingredienti a disposizione, ma dalla capacità di amalgamarli. Quindi dipende dall’efficienza organizzativa. Parte da questo punto fermo Matteo Bugamelli per accompagnare nella sua relazione il popolo dello Scoiattolo che questa mattina, numeroso ed eterogeneo per età e formazione, ha affollato la sala conferenze del Palazzo di Economia (Dipartimento di Economia e Management) dell’Università di Trento per ascoltarlo. La sua prima volta al Festival dell’Economia di Trento, dove è intervenuto con la parola chiave “produttività”. Ed è stato subito feeling con il pubblico. Per lui apprezzamento, applausi e domande. L’economista ha ricambiato con lo sforzo di farsi comprendere dalla gente comune e con la disponibilità a rispondere a tante richieste.

Matteo Bugamelli, laurea in Economia e Commercio all’Università di Bologna e dottorato in Economics alla Columbia University di New York, è economista alla Banca d’Italia e titolare della Divisione Struttura economica e Mercato del lavoro al Dipartimento di Economia e Statistica. È esperto di commercio internazionale ed economia industriale. Ha pubblicato lavori sul legame tra concorrenza cinese e profitti delle imprese italiane, sull’interazione tra esportazioni, innovazione e capitale umano e sui freni all’adozione di nuove tecnologie in Italia. Ha curato due rapporti sul sistema produttivo italiano (2009 e 2017).
È stato introdotto da Chiara Tomasi, ricercatrice di Economia industriale dell’Università di Trento. La premessa: spesso si sente dire che la crescita dell’economia italiana è frenata da una dinamica della produttività modesta nel confronto internazionale. Si parla di economia stagnante. L’Italia è considerata la bella addormentata d’Europa. Da cosa dipende?
Bugamelli ha analizzato le principali determinanti della produttività. La correlazione con le scelte tecnologiche e di lavoro delle imprese, con il contesto istituzionale e normativo. Ha chiarito come la produttività non dipenda dalla quantità degli ingredienti a disposizione, ma dalla capacità di amalgamarli. Quindi dipenda dall’efficienza organizzativa. Ha sottolineato – grafici alla mano - come la produttività abbia una relazione positiva con il reddito procapite e quindi sia cruciale per gli standard di vita della cittadinanza. I segnali positivi non mancano come la produttività del settore manifatturiero che ha ripreso a crescere. Ma le microimprese italiane sono in media poco efficienti. Si è in un sistema economico in cui la capacità di allocare risorse è andata migliorando, ma c’è sabbia negli ingranaggi. C’è qualcosa che non funziona nella selezione di nuove imprese: fin dalla nascita non sono in grado di generare dinamismo. La crescita della produttività aggregata dipende dalla capacità innovativa, dal capitale umano e dalla capacità organizzativa oltre che da fattori esterni. Innovazione e tecnologia sono una variabile chiave della produttività come buone pratiche manageriali per gestire il cambiamento. E non aiuta avere capitale umano poco istruito (in Italia solo il 18% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha la laurea, uno dei dati più bassi a livello europeo) né avere piccole imprese con tutto il management familiare.

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