Venerdì, 01 Giugno 2012 - 02:00 Comunicato 1548

Una panoramica sul mondo del lavoro in Italia e in Spagna con Samuel Bentolila
PERCHE' ABBIAMO BISOGNO DEL CONTRATTO UNICO

Una panoramica sul mondo del lavoro in Italia e in Spagna e un costante interrogativo: perché il contratto unico non ha ancora sostituito il dualismo dei contratti a tempo determinato e indeterminato? Si può ricondurre a questa domanda l'esposizione di Samuel Bentolila, professore di Economia al Centro de Estudios Monetarios y Financeiros di Madrid, introdotto nella sua relazione dalla giornalista del Tg3 Carmen Santoro. Bentolila ha accompagnato la sua lezione illustrando una lunga serie di grafici che fotografano lo stato attuale del lavoro nei paesi europei con particolare attenzione per l'Italia e per la Spagna. Analizzando i tassi di disoccupazione, il livello di istruzione, gli impatti della crisi e l'economia dei contratti a termine, è emerso un mosaico che sancisce il sostanziale fallimento della normativa attuale e che riconduce all'interrogativo iniziale, definito dal professore "l'enigma dello stallo delle scelte politiche".-

Nonostante l'opinione favorevole dell'OCSE, del FMI e della Commissione Europea infatti, il contratto unico non rappresenta una soluzione politicamente vantaggiosa né per i datori di lavoro né per i sindacati. I primi infatti traggono vantaggio dai contratti a tempo determinato che garantiscono flessibilità e possibilità di licenziare a basso costo, mentre i sindacati – che proteggono principalmente gli interessi dei lavoratori a tempo indeterminato – si troverebbero col contratto unico a fronteggiare un peggioramento della posizione dei lavoratori fissi (che al momento godono di un minor indice di licenziabilità e di un maggior potere contrattuale sugli aumenti salariali). Ma l'alternativa non è conveniente nemmeno a livello politico: un governo che decidesse di investire sul contratto unico si troverebbe a beneficiare maggiormente i giovani, vale a dire una forza elettorale decisamente minoritaria.
Attualmente sono presenti più alternative di contratto unico. Bentolila ha illustrato per prima quella ipotizzata nel 2007 da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, che a una fase iniziale di inserimento di 3 anni (durante la quale il licenziamento avviene dietro forti compensazioni monetarie a fine rapporto) fa seguire una fase di stabilità paragonabile agli attuali contratti a tempo indeterminato. Una seconda ipotesi è invece quella del contratto unico a stabilità crescente, proposta in Spagna nel 2009 da cento economisti per sostenere contemporaneamente la sicurezza economica e professionale del lavoratore e la richiesta di flessibilità da parte dei datori di lavoro. Non mancano però altre proposte (come quelle di Blanchard e Tirole e di Cahuc e Kramarz in Francia), rendendo ancora più evidente che la mancata attuazione di queste riforme non è dovuta alla scarsità delle alternative, ma ha motivazioni strettamente politiche.
Contestualmente, Bentolila ha descritto ampiamente la situazione dei giovani in Italia e Spagna, sottolineando come l'altissima percentuale di contratti a termine ha provocato, negli anni, un innalzamento dell'instabilità lavorativa e, di conseguenza, del tasso di disoccupazione che (al momento in Spagna, l'indice sfiora il 52%). E' attorno a questa circostanza che ruotano le altre criticità dei giovani, e non viceversa: l'indipendenza dai genitori, il tasso di istruzione e il livello medio dei risultati accademici, la possibilità o meno di creare una famiglia e altri fattori, sono tutti originati dall'instabilità lavorativa e dall'impossibilità di crescere professionalmente. L'attuale sistema con due contratti però è legato a doppio filo anche alla regolamentazione a cui sono soggette le imprese, che fa variare – e di molto – le strategie aziendali in materia di gestione delle risorse umane.
In conclusione, la prospettiva più inquietante all'immobilismo della politica è la nascita di una nuova lost generation, espressione coniata nella Spagna degli anni Ottanta e del Giappone degli anni Novanta per indicare quei giovani che a seguito della disoccupazione perdono l'entusiamo necessario al rilancio delle imprese. Al momento, ha commentato Bentolila, la percentuale di NEET in Italia e Spagna oscilla fra il 18 e il 20% fra i giovani, con conseguenze che nel lungo periodo inaridirebbero la crescita e renderebbero insostenibile il modello di welfare mediterraneo. "Queste tendenze – ha concluso il professore – non si placheranno, perché sono apparentemente inarrestabili e dipendono da forze globali". Dalla capacità di gestione della globalizzazione e dei progressi tecnologici dipende quindi la società del futuro, che chiede una politica intelligente per fornire risposte valide a livello di istruzione e educazione, di uniformità nella stabilità del lavoro, di gestione dei flussi migratori e di incentivo a politiche di mercato attive.
"Dal 1995 la Germania è cresciuta quasi del 10% in termini di produttività. Spagna e Italia invece oscillano fra il -4% e il -7% rispetto allo stesso anno. La vera sfida – ha concluso il professore – è rilanciare la produttività attraverso l'istruzione e il lavoro, dal momento che è l'unico fattore che influisce direttamente sulla qualità della vita".

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