Venerdì, 31 Maggio 2013 - 02:00 Comunicato 1551

OPPORTUNITÀ E RISCHI DEI FONDI SOVRANI AI TEMPI DELLA CRISI

L'incertezza regna "sovrana". Questa espressione usata da Bernardo Bortolotti rende bene l'idea dei miti e dei sospetti che avvolgono i fondi sovrani, i veicoli di investimento pubblici controllati dai governi, capaci di intervenire massicciamente nell'economia (nazionale e estera) attraverso il finanziamento di imprese e attività produttive. E che negli anni della crisi hanno salvato Wall Street. Bortolotti, docente di Economia all'Università di Torino e direttore dell'Osservatorio sui Fondi Sovrani (Sovereign Investment Lab), istituito a fine 2011 presso il Centro di ricerca Paolo Baffi (sulle banche centrali e sulla regolamentazione finanziaria) della Università Bocconi, ha cercato di fare luce sui "Fondi sovrani", tra opportunità e rischi, davanti a un folto pubblico costituito in buona parte da giovani, nella sala conferenze "Alberto Silvestri" del Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento, introdotto dal ricercatore Andrea Fracasso,-

Nati negli anni Cinquanta e diventati dei soggetti di economia internazionale di primo piano con l'ultima crisi, portano grandi quantità di capitale. Non esiste una definizione ufficiale. Nessuno ne conosce la reale entità. Questi fondi possono derivare dall'accumulazione di avanzi delle partite correnti (come nel caso Cinese e dei Paesi esportatori di petrolio), ma anche essere finanziati "ad hoc" da governi con risparmi o proventi delle privatizzazioni. Il dilemma vero – ha affermato Bortolotti – è se "il fondo sovrano sia benevolente, ovvero strumento per preservare la ricchezza della nazione nel tempo e favorire l'investimento di lungo termine oppure neo-mercantilista, cioè braccio armato finanziario con cui i Paesi emergenti perseguono le loro ambizioni geopolitiche".Bortolotti ha, quindi, proseguito sfatando alcuni "miti". Quello che li vuole tutti uguali (non è così: sulla trasparenza – ha detto – il fondo sovrano norvegese è il più trasparente, quello libico è il più opaco), quello che li considera i nuovi barbari (non è vero - ha affermato - e lo dimostra il fatto che una parte viene investito nei rispettivi Paesi), il terzo mito, per il quale si investirebbe all'estero nei settori strategici ( finora – ha riferito - si è investito invece nelle banche e nel settore immobiliar) e il mito di chi ritiene che i fondi sovrani si stiano comprando l'Italia ("L'Italia – ha detto - è al ventesimo posto. E se c'è da preoccuparsi è per l'assenza dii investimenti diretti esteri. Con l'eccezione di UniCredit SpA, che trova nei fondi sovrani i suoi principali azionisti"). I veri problemi per Bortolotti sono due: la legittimità politica di fondi sovrani che provengono da Paesi non democratici (perché le società riceventi possono essere influenzate dalle vicende politiche dei Paesi dai quali i fondi arrivano) e il neoprotezionismo (come conseguenza dello scontro culturale tra modelli di capitalismo di stato e di mercato). "Ma – ha concluso - dobbiamo mantenere aperto il canale dell'investimento estero, fondamentale ingrediente per la crescita economica in tempi di scarsità di capitale. Vigilare sulle finalità commerciali e non politiche degli investimenti sovrani usando le regolazione esistente. Scegliere soluzioni win-win nella consapevolezza che l'Occidente non è più l'epicentro del mondo".
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