
Incontro con l’autrice del libro “Non è lavoro, è sfruttamento”, Marta Fana, PhD in economia a ScencesPo a Parigi e collaboratrice de Il Fatto. Con lei Federico Rampini, Andrea Roventini e Tonia Mastrobuoni. Minijobs, lavoretti, Gig economy. Un mondo di sfruttamento che per l’autrice nasce dal reaganismo e tatcherismo anni ottanta. In Italia dal 1997 a oggi ogni tre anni una legge che ha tolto tutele lavoro e non ha compensato la flessibilità con qualche ammortizzatore. I riders che consegnano pizze a domicilio ci sono sempre stati. Ma oggi sono ingaggiati con una app. E non hanno un luogo fisico per essere tutelati, fare fronte comune. Per Fana il welfar italiano è datato e lavorista. Frammentazioni ed esternalizzazioni sono state la premessa allo sfruttamento diffuso di oggi. Federico Rampini, corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, offre uno spaccato della cultura del lavoro in America: il lavoro è pervasivo. Non c’è tempo libero. Noi abbiamo importato un modello americano inesistente, peró, quello basato sul principio “meno diritti, più crescita”. Negli Stati Uniti le aziende pagano bene gli stagisti per assicurarsi il miglior capitale umano. Da noi i giovani devono lavorare gratis”. Insomma, abbiamo preso solo la parte negativa del modello americano. Andrea Roventini, economista della Scuola Sant’Anna di Pisa e potenziale ministro indicato dal Movimento 5 stelle alle ultime elezioni, ricorda che cambiare lavoro ogni sei mesi non dà competenze per migliorare la produttività. Gli economisti hanno condizionato i politici contestando la rigidità dei salari e il ruolo dei sindacati. Bisognerebbe sperimentare anche in Italia la settimana lavorativa da 35 ore anziché 40. Anche se in Francia è stata boicottata.