Martedì, 15 Dicembre 2015 Comunicato 3164

NOI TERRORISTI. PRESENTATO A TRENTO IL LIBRO DI MARIO GIRO

Si è svolta ieri presso il Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale di Trento, alla presenza di un centinaio persone, la presentazione di “Noi terroristi”, il recente libro di Mario Giro edito da Guerini e Associati.
Mario Giro, Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dal 1998 al 2011 responsabile delle Relazioni Internazionali della Comunità di Sant’Egidio, si occupa da decenni dei fenomeni legati al terrorismo islamico attivo in Europa e in particolare in Francia. L’incontro è stato organizzato dal Centro per la Formazione alla Solidarietà, aperto - come hanno ricordato il presidente Mauro Cereghini e l’assessora all’università e ricerca, politiche giovanili, pari opportunità, cooperazione allo sviluppo Sara Ferrari - a tutti i soggetti che si occupano di questioni internazionali, insegnanti, volontari, attivisti, giornalisti, interessati ad arricchire il proprio sguardo per orientarsi all’interno di uno scenario globale intriso di complessità. Una complessità di cui ognuno di noi fa parte, come ricorda lo stesso titolo del libro.

Ad un mese dagli attacchi di Parigi, a meno di un anno dall’irruzione nella redazione di Charlie Hebdo, in un’Europa ancora scossa e insicura, un libro come quello di Mario Giro può essere di aiuto per comprendere meglio le radici e i protagonisti di quello che nel vecchio continente viene chiamato “fondamentalismo islamico”.
Mario Giro sta studiando l’ascesa del fondamentalismo islamico dal 1995, dall’attentato alla stazione RER di Saint Michel a Parigi. E l’attacco, dopo vent’anni, dello scorso gennaio a Charlie Hebdo, ha mostrato di avere gli stessi protagonisti tra gli attentatori: ragazzi appartenenti ai medesimi ambienti, provenienti dalle stesse zone della Francia, con le medesime reti sociali di appartenenza.
Il fenomeno del fondamentalismo islamico è dunque “antico”, è nato prima della crisi siriana, e rimarrà anche quando il conflitto in Siria sarà - auspicabilmente - risolto. Daesh è uno dei molti volti e nomi che ha assunto, ha delle caratteristiche peculiari, legate alla contemporaneità, prima tra tutte l’utilizzo del web e degli strumenti mediatici più innovativi. Gli appartenenti a Daesh provengono dai paesi europei, ed utilizzano con grande capacità le risorse virtuali e tecnologiche.
I protagonisti sono ragazzi e ragazze cresciuti nelle nostre città, di origine musulmana, ma non solo. Ad esempio il gruppo che ha attaccato il Bataclan e lo stadio lo scorso novembre si era radicalizzato in collegamento con il cosiddetto “imam bianco”, francese da generazioni. L’incontro con il fondamentalismo non avviene solo per difficoltà a livello sociale; quella a cui stiamo assistendo è piuttosto un’ “islamizzazione della rivolta”. Come un tempo i giovani partivano per sostenere le rivoluzioni in America centrale, oggi si parte per il jihad. A monte ci sono problemi di ordine psicologico-identitario: la ricerca di un mondo con una netta distinzione tra buono e cattivo, con un prodotto totalitario in grado di dare significato alla vita, è oggi sfruttata sapientemente dal terrorismo islamico. Come ricorda Hannah Arendt, l’ideologia porta a cambiare le cose, il totalitarismo porta a snaturare la propria natura umana, e il totalitarismo islamico in questo non differisce dagli altri tipi di totalitarismo che hanno segnato il volto del secolo da poco concluso. Nelle anime confuse dei giovani che incontrano il fondamentalismo islamico c’è quindi un’adesione totalizzante a un nuovo prodotto, che non è religioso, ma è invece accuratamente costruito. I discorsi di reclutamento di Daesh uniscono affermazioni di matrice no global a questioni psicologiche e identitarie, legate spesso a difficoltà derivanti da processi di esclusione sociale.
I giovani e le giovani che decidono di aderire ai discorsi del fondamentalismo islamico vivono inoltre all’interno di zone grigie che ne garantiscono l’invisibilità e l’incolumità. E tali zone grigie riguardano le comunità delle nostre città. Per evitarne la presenza e la propagazione è necessario tenere legate tutte le dimensioni che definiscono la sfera sociale, attraverso il lavoro congiunto delle amministrazioni, delle organizzazioni sociali, delle realtà religiose. Un tessuto sociale vivo ed attivo è l’unico elemento in grado di evitare l’esistenza di tali zone grigie, generate invece dalla presenza di ghetti - non solo sociali, anche culturali - all’interno delle nostre città e comunità.
Un ulteriore elemento che ha contribuito al crescere di tali forme di fondamentalismo è la presenza della guerra in Siria e la conseguente richiesta di combattenti. La guerra in Siria è una guerra per l’egemonia del mondo arabo, molti sono i paesi che sanno che controllando quella zona si può detenere un grande potere su tutta la umma, tutta la comunità musulmana mondiale, costituita da oltre un miliardo e mezzo di persone. E per trovare una soluzione al conflitto è necessario portare sul tavolo delle trattative tutti i paesi coinvolti, Turchia, Iran, Russia, Arabia Saudita, Egitto, nella consapevolezza che la realtà geopolitica contemporanea ha un alto grado di complessità.
Anche se i foreign fighters italiani sono poche decine, a differenza dei giovani francesi entrati tra le file di Daesh, l’Italia è comunque coinvolta nel fenomeno del fondamentalismo islamico, un fenomeno globale, che richiede un preciso lavoro di intelligence, di sicurezza, unito però alla capacità di mantenere il miglior clima sociale possibile, ed in questo siamo tutti responsabili.

(am)