
«Gli outsider – ha spiegato Greenstein - si differenziano per il loro punto di vista distintivo su come si possa creare valore al meglio le stesse premesse, su come commercializzare la tecnologia e le idee. Mettono alla prova le idee, le estendono, cercano di sviluppare prototipi non costosi, fanno sperimentazione più velocemente e direttamente sul mercato, perché costa meno che in laboratorio. Di fronte a questi esperimenti controllati, gli insider - le aziende già presenti sul mercato – si gettano dopo nella competizione. Gli outsider guardano alle opportunità da un punto di vista specialistico offrendo prodotti o servizi su misura per persone non specializzate. Sfidano il consenso sul valore e al di fuori di esso sperimentano, come avvenne con Larry Page e Sergey Brin che fondarono Google per dimostrare la bontà della loro idea. O sfidano le regole e copiano tra loro, come Tim Draper che ha dato vita al viral marketing a basso costo e tramite i canali informali di Hotmail, mettendo una pubblicità in calce alle mail inviate dagli utenti. Un’idea che gli è venuta ispirandosi alla struttura di marketing di Tupperware».
La parola d’ordine degli outsiders è la meritocrazia tecnica: codici ben scritti, uniti a un’impazienza pragmatica di fondo. Un mix che conta di più dell’età, della provenienza o di tanti altri fattori. Greenstein ha spiegato come a sostenere gli outsider siano, da un lato, le politiche di commercializzazione che limitano la creazione di monopoli e incoraggiano la creazione d‘impresa e, dall’altro, la capacità di università e centri di ricerca di lavorare sul trasferimento tecnologico. «Il ruolo maggiore lo hanno comunque i venture capitalist che devono essere in grado di riconoscere le buone idee degli outsiders e tutelarli».
Ma come reagiscono gli insiders, le aziende consolidate all’azine degli outsider? «Sono costrette a rivedere gli schemi consueti di investimento attorno all’azione catalizzante degli outsider che mette in luce una nuova domanda. A volte, invece sottovalutano la loro azione. Ad esempio, Bill Gates, migliore amministratore delegato della sua generazione, nel 1994 non diede peso all’importanza di Internet. Ma alcuni dei suoi collaboratori svilupparono comunque un’analisi e riuscirono a convincerlo». Che succede agli outsider quando diventano “grandi”? «A volte – come è capitato a Bill Gates – si dimenticano delle loro origini r prendono decisioni per limitare la concorrenza. La politica deve ricordare loro che hanno l’obbligo di preservare l’accesso competitivo al mercato».
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