Venerdì, 31 Maggio 2019 - 17:53 Comunicato 1237

Marco Tabellini: "Immigrazione e reazioni, uno schema che si ripete nel tempo"

Il giovane professore di Harvard, laureato al MIT, Marco Tabellini, illustra con dati scientifici, in un confronto storico con l'epoca delle grandi migrazioni in America, come il pensiero anti-immigrazione segua delle linee sempre uguali. Alla base delle politiche contro l'immigrazione, allora, ci sarebbero stati e ci sarebbero tutt'oggi fattori culturali, ben prima che economici. "Lo dimostra il fatto che gli Usa di inizio '900 subirono uno sviluppo economico, nonostante l'alta percentuale di immigrati europei, e che comunque furono politicamente e socialmente contrari ai flussi migratori in entrata".

Oggi l'Europa presenta circa il 10% di immigrati all'interno della propria popolazione. La percezione del cittadino medio si aggira invece attorno al 30%. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, in quell'epoca che viene chiamata "The Age of Mass Migration", negli Usa, si sfiorò il 14%. Dall'Europa all'America emigrarono circa 50 milioni di persone (di cui 5 solo dall'Italia). Sono questi i dati con i quali Marco Tabellini, ricercatore e docente presso l'Harvard Business School, chiarisce fin da subito il punto in tema di immigrazione. Come vennero accolti? "In una parola: male" - spiega Tabellini, in conferenza dagli Stati Uniti, introdotto dalla giornalista Nunzia Penelope - "e le motivazioni che vennero addotte sono essenzialmente quelle che sentiamo ripetere oggi: da un lato si parlava di competizione nel mercato del lavoro (gli immigrati rubano il posto ai nativi, o per causa loro si abbassano i salari) o del peso fiscale di questi sullo stato; dall'altro c'era la paura che non fossero culturalmente in grado di integrarsi". Ma allora, se oggi, come dichiara Penelope, "vince le elezioni chi promette la barriera piu' alta, dal muro di Trump, alla Brexit, ai porti chiusi", le motivazioni anti-immigrazione sono economiche o culturali? "Nel '900 gli europei immigrati in America furono il motore dello sviluppo economico dello Stato, eppure personaggi del calibro di Walker, primo presidente dell'American Economical Association, dichiarava che bisognava proteggere il tenore di vita statunitense dall'invasione delle masse ignoranti" - prosegue il professore - "così, nelle vignette e nel sentire comune, l'immigrato europeo era un pericolo. Si trattava di una discriminazione fondata per lo piu' sulla religione (protestanti vs cattolici)".

Gli effetti politici che si produssero, furono quelli di un aumento dei voti verso le parti piu' conservatrici del Paese. "E' una storia che si ripete" - aggiunge Tabellini - "dalla riduzione del welfare, alla necessità di creare barriere. L'immigrazione è un tema di tutti i tempi, dell'intera storia dell'umanità". Come contrastare un pensiero anti-immigrazione, allora, e come cambiare "il modo di vedere" l'immigrato? "Nel '900 la svolta arrivò con la migrazione degli afro-americani tra il 1915 e il 1930" - illustra il docente di Harvard - "un nuovo out group favorì l'integrazione del precedente. Un altro fattore evidente, ricavato dagli studi sull'epoca, è però che, più grande è il gruppo etnico immigrato, piu' aumentano le difficoltà nell'assorbimento nella società: nei grossi gruppi non si parlava inglese, non si sentiva la necessità di sposare dei nativi, non si davano nomi americani ai figli". Applicato alloggi, in conclusione, dichiara Tabellini, "dobbiamo fare attenzione a ridefinire i concetti di in group e out group, favorendo le politiche di integrazione sociale, perché la segregazione, lo dimostra la storia e lo dimostra la mia ricerca, rallenta l'avvicinamento del gruppo immigrato e del gruppo nativo".



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