Venerdì, 11 Ottobre 2019 - 12:18 Comunicato 2464

La famiglia di campioni dello Judo racconta al Festival dello sport l’esperienza nei quartieri periferici di Napoli
Maddaloni di Scampia, lo sport mette al tappeto la criminalità

“Io mi sento come un fiume che scorre e si porta appresso la vita delle persone, di giovani soprattutto, con i quali noi dobbiamo costruire le fondamenta del loro futuro. Scampia è una palestra di vita, in cui noi ci misuriamo ogni giorno. Lo judo è lo strumento. Noi lavoriamo con famiglie, scuole ed istituzioni perché i giovani sono bravi e hanno bisogno di modelli buoni”. Gianni “O Mae” Maddaloni è un uomo solido di 62 anni che nei giovani trova la forza e l’energia per guardare al futuro: ieri sono stati i suoi sette figli, oggi sono le centinaia di ragazzi che affollano la loro palestra. Sul palco dell’Auditorium Santa Chiara di Trento c’era stamani - come ha ricordato Luigi Garlando della Gazzetta dello sport - la “migliore squadra” della seconda edizione del Festival dello Sport: Gianni “O Mae” con i suoi figli Pino (oro olimpico a Sydney 2000) e Marco (Campione europeo e recente vincitore dell’Isola dei famosi).

Scampia è la Disneyland dello schifo e della camorra, un luogo reso famoso da una serie tv e da personaggi da romanzo. Ma Scampia è anche il “fiume” di persone che ogni giorno vanno a lavorare e vivono di valori. E’ questa la Scampia della famiglia Maddaloni che, nella periferia più difficile di Napoli è nata e, per scelta, ha scelto di continuare a vivere. La loro storia è stata stamani la storia del Festival dello sport.
Alle Olimpiade di Sydney 2000, Pino Maddaloni, allenato dal padre Gianni, vinse la medaglia d’oro di judo, categoria 73 kg. Tornato a casa, Gianni, O Maè (il Maestro), avrebbe potuto monetizzare il trionfo e aprire una palestra elegante nei quartieri ricchi di Napoli. Rifiutò ogni proposta e aprì lo “Star Judo Club – Centro Sportivo Sociale Maddaloni” a Scampia, tra la sua gente, all’ombra delle famigerate Vele. “Tutti ci cercavano - ricorda O Mae - con i progetti spettacolari ma io sognavo una cittadella dello sport”. Ora il sogno potrebbe realizzarsi grazie a 10 milioni di euro di fondi pubblici.
Se, come detto, cinema e televisione hanno reso celebre il quartiere napoletano, presidiato dalla camorra e dagli spacciatori di droga, mitizzando anche figure di delinquenti, O Mae si batte da anni per far emergere la Scampia del bene, per strappare i ragazzi alla tentazione dei soldi facili e delle scorciato del crimine, educandoli ai valori dello sport e della legalità. “Quando un ragazzo - racconta Gianni - entra in palestra e ha il padre in palestra non paga, così il diversamente abile o l’immigrato. E allora chi paga per loro? Noi abbiamo degli amici veri che ci aiutano. E’ Gesù che ce li manda”. Magia.
Il ritorno al quotidiano è il pugno allo stomaco della storia raccontata da Antonio, figlio di un boss di Scampia, recluso in Sardegna. “Antonio - racconta oggi Gianni - è diventato un piccolo campione di judo ed è entrato al Conservatorio. Oltre al tatami, Antonio vive della musica del suo pianoforte”. Il padre Giuseppe, uscito dal carcere, ha incominciato a lavorare in palestra: “Sono stato cresciuto da animali, poi ho conosciuto gli uomini”, ha confessato il boss.
Questa è solo una delle tante vittorie del Clan Maddaloni, composto dal Maestro Gianni e dai suoi figli: Pino; Marco, campione europeo e vincitore all’Isola dei Famosi; Laura, pluri-campionessa italiana; Bright, campione italiano; Yelnia, maestra di danza.
I Maddaloni affrontano anche la battaglia quotidiana per pagare le bollette della luce o gli affitti arretrati richiesti, dopo 30 anni, da un’amministrazione “lontana” (270 mila euro) e per tenere aperta la palestra e i programmi di reinserimento sociale.
Quello dei Maddaloni è un atto di amore verso il quartiere. “Scampia - dice Marco, campione europeo di judo - è casa mia e non posso pensare posto migliore dove allenarmi. Quando entro in palestra avverto un’energia positiva, la rabbia di chi vuole emergere e cambiare le sue stelle. Oggi giro il mondo come tecnico federale e quando parlano di ‘Gomorra’ mi viene da ridere perché è come se scambiassero la mafia con il Padrino e Carlirto’s way. Ripeto, Scambia è le gente che si alza alle sette del mattino e va a lavorare, non è non il quartiere di quelli che premono il grilletto”.
L’oro olimpico, che Pino Maddaloni si è cucito addosso a Sidney, è la pagina più bella della sua carriera da judoka. Il suo sogno (realizzato) era un altro: “Entrare a fare parte della squadre delle Fiamme Oro, perché mio nonno era poliziotto”.
“Il Judo - continua Pino - è stato un gioco che mi ha passato dei valori importanti, quali il rispetto del prossimo e delle regole. Crescendo mi sono reso conto che ciò che per me era qualcosa di normale, non lo era per altri”.
La gara più difficile, Marco l’ha combattuta (e vinta) ancora prima di calcare il tatami: “Per andare in palestra ero costretto ad attraversare la città, cambiando tre autobus, e all’arrivo mi aspettavano dei balordi con i quali finiva spesso a botte, semplicemente perché andavo ad allenarmi. Tutto questo mi è stato utile, mi ha reso forte. In strada ero solo contro cinque o sei ragazzi, mentre in gara avevo un unico avversario e c’era pure l’arbitro”. 

(pff)


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